Quando i nostri padri culturali da Gino Santoro a Sandro D’Amico, da Giuliano Capani a Rina Durante, da Marisa Turano a Ferdinando Taviani, a Giorgio Pressburger e ai tanti amici e compagni di strada: Carlo Quartucci, Giuliano Scabia, Dario Fo e Franca Rame, Carmelo Bene, Giovanna Marini, Georges Lapassade, Eugenio Barba, Franco Battiato, Julian Beck Judith Malina, Ingemar Lindh, Gianni Toti, Vittorio Pagano, Giuseppe Ricci, Giovanni Cannoletta e tantissimi altri crearono l’OISTROS si chiesero che cosa sarebbero stati disposti a fare pur di ritrovare le radici profonde, il cuore delle identità plurali del Salento.
Che cosa si potevano aspettare in cambio di questo affascinante ma delicato e difficile lavoro di scavo? Niente.
O forse un poco di riconoscenza per aver ritrovato e riattivato fonti di energia culturale sepolte sotto montagne di menzogne inventate per giustificare le diseguaglianze e le ingiustizie delle classi egemoniche. Dalle fonti del tarantismo, dell’integrazione delle diversità e del teatro di partecipazione ritornarono a sgorgare energie vitali che tutti potevano utilizzare. Erano patrimonio di tutti. I padri dell’OISTROS esploravano, raccoglievano e offrivano i risultati del loro lavoro, ma qualcuno cominciava a sollecitare sorrisetti di scherno. Altri cominciarono a montare panegirici sul mercato culturale, sul turismo da rafforzare con prodotti culturali a forte identità locale. E così il tarantismo da strumento di analisi e guarigione della crisi di presenza e del dolore cosmico cominciò a trasformarsi in spezia del divertimentificio del Salento e carta di credito per carriere politiche di nullafacenti. E così anche il delicato processo d’integrazione delle diversità si sta frantumando e consumando fra specialistici dipartimenti medico psico pedagogici e il teatro di partecipazione si dissangua nell’oscenità dello spettacolo televisivo e delle sue metastasi.
Ecco perché, cari amici, – e se non vi fa proprio schifo, compagne e compagni- sentiamo il bisogno di avvertirvi che se vogliamo salvare il pensiero dobbiamo ritirarci dal mercato, dalle fiere e dai festival e dalle rassegne e dalle bacheche reali e virtuali. Dai caroselli e dagli spot e da ogni consiglio degli acquisti; insomma da ogni forma di spettacolo, volgare pornografia del pensiero.
Depensare, si, depensare l’Io, il noi, gli altri, la società,il mondo… depensare lo stesso pensiero. La danza pervasiva e martellante delle immagini è la forma che devono prendere le idee per diventare merce ed esporsi imbellettate e scosciate sulle bancarelle reali e soprattutto virtuali del dio Mercato.
Basta Mostrare e mostrarsi! Dobbiamo nascondere le cose vere. Riseppellirle. Non dove le hanno trovate i nostri padri naturali e intellettuali. Con facilità andrebbero a disseppellirle. Per quanto ci riguarda, dopo aver capito che la favola della modernità fondata intorno ad una cianfrusaglia di protesi con l’anima digitale è un’ideologia imbellettata da un fiorito gergo tecnologico per far da paravento a un potere che sempre più si rintana nei santuari della finanza.
Quando ci siamo chiesti: che cosa siamo disposti a fare per ottenere un finanziamento dagli enti pubblici sequestrati da una classe di pseudo politici e funzionari che non funzionano?
Non trovando una risposta adeguata, abbiamo cambiato la domanda: cosa siamo disposti a fare per ottenere in cambio niente? Tutto quello che stiamo facendo. Nascondiamo Carmelo Bene in una notte di settembre nella Grotta Poesia, nelle musiche di Libetta, nei sussulti di Maria Luisa Bene. Nascondiamo l’integrazione nella semplice storia del piccolo Edison, e quella storia la intrecciamo con altre storie e nascondiamo il tutto nelle pagine di un libro. Persino il teatro di partecipazione con la lunga stagione insieme all’Odin da giugno a ottobre del 1974 l’abbiamo nascosta in un libro fotografico tessuto dagli amici di Carpignano.
In questi giorni stiamo nascondendo tra i segni e i disegni dell’artista sloveno Martin Petric lo ‘S/concerto’ d’Europa e le danze di una taranta sull’orlo dell’universo. Sotterrare, nascondere quanto è rimasto della verità e della bellezza nella speranza che forse un giorno possano tornare a girare nei nostri paesi senza paura di essere catturate, violentate, sporcate e vendute a pezzi sulle bancarelle del servilismo a metà prezzo.
Ecco perché, di fronte a tutto ciò, a questa modernità, a questa idea di innovazione noi non abbiamo paura di essere vecchi. Terribilmente vecchi, vetusti, quasi primitivi. Noi che ci coltiviamo le verdure nelle campagne dei nostri nonni, e che abbiamo deciso di stamparci, se necessario, i libricon i torchi. Vecchie sono le nostre idee. Nulla di nuovo nei concetti in cui crediamo: l’accoglienza, l’integrazione, il rapporto con la disabilità, le migrazioni e i centri di accoglienza e di emarginazione. Vecchi anche i nostri maestri. Vecchissimo, morto, Carmelo Bene, seppellita anche Rina Durante, non ancora Eugenio Barba, ma ha 70 anni… Vecchissimi loro! Vecchi noi che ci innamoriamo di una storia e la portiamo a termine, come una promessa fatta ad un amico…
Come la storia di Edison.
Un bambino scaraventato sulle coste pugliesi quando aveva 9 anni, senza genitori, un bambino cresciuto nei Cpt di questa regione, come le migliaia di profughi che sono transitati su questa splendida terra. Un bambino a cui un giorno faccio una promessa. Edison se mi racconti la tua storia giuro che torneremo insieme da tua mamma in Albania. Una promessa mantenuta. Il film “Sognavo le nuvole colorate”, la soddisfazione del successo al Festival di Locarno, le critiche lusinghiere del Corriere della Sera, le luci dei riflettori delle televisioni e poi… la clandestinità. Di nuovo.
Questo è la storia di Edison, la storia di un bambino che vuole crescere in un’Italia moderna… (almeno così lui la vede in tv), la storia di un bambino che voleva raccontare la sua storia… la storia dei tanti migranti finita in fondo alla sabbia.
La storia di un bambino finito nel limbo dell’emarginazione e che, quando emerge, emerge solo per dare spettacolo di se, al limite, per far sentire migliori gli altri, quelli moderni, innovativi.
Che magari oggi trasformano i Cpt in villaggi turistici… Le rotte dei clandestini in tour all’ultima moda per i temerari vacanzieri… Nell’epoca di Internet e dell’innovazione tutto è visibile. Tutto è nuovo e con la stessa velocità diventa vecchissimo. E quindi, nulla è più importante.
Ecco perché ad un certo punto abbiamo deciso di fondare la casa editrice Oistros e pubblicare come primo libro, il libro che narra la storia di Edison (oggi clandestino a Milano): per nascondere Edison.
Pubblicare per nascondere, ecco il nostro obbiettivo.
Come diceva Carmelo Bene: ci sono solo due modi per proteggere qualcosa di prezioso, esibirlo o nasconderlo, proteggerlo, come un diamante seppellito nel ventre della terra.
Tanto, nel mondo dell’innovazione, del capitalismo globale e della crisi mondiale a cosa serve la storia di un ragazzino che voleva attenzione? Secondo noi, le storie come quelle di Edison meritano attenzione perché ci danno una speranza che non tutto è crisi.
La nostra voglia di stare insieme, di condividere idee ed emozioni, di volerci bene anche contro ogni logica di mercato, è questo Oistros Edizioni. Spendere 15 mila euro per un film e decidere di non venderlo perché ognuno di noi è proprietario non di un prodotto, bensì della vita dell’altro.
E quindi ecco il senso dei nostri libri o ebook, o istant book.
Nascondere, seppellire diamanti… Chi li vuole li deve cercare, scavare.
Gli autori non pagano per farsi pubblicare, ma diventano proprietari delle loro idee e le idee diventano conoscenze e le conoscenze sono di tutti e quindi libere. Il mercato è il mondo, la rete. Traduciamo e tradiamo ogni testo.
Dentro ai nostri libri persone come Edison sono protette, al sicuro e possono sognare di essere italiani ed albanesi senza rinunciare a niente. Edison può navigare sulle onde delle pagine senza rischiare di naufragare, o magari di essere speronato…
Può deridere le istituzioni. Perché ad esse Edison non deve nulla… Come noi del resto!
Oistros Edizioni 2. giugno 2012