Può essere bello l’orrore?
Può un artista rappresentare l’orrore di una morte? di una epidemia?
Certo che si.
La storia dell’arte è piena di esempi.
L’artista ha rappresentato anche il brutto. Spesso con immagini che difficilmente definiremmo belle (adoro la serie degli “alienati con monomania” di Gericault!, o gli studi di anatomia di Leonardo…). Gli artisti, in genere, non bypassano l’orrore. Lo restituiscono in tutta la sua teatrale drammaticità. Può, talvolta, comparire uno spiraglio di luce, che fa intravedere la fine della tragedia.
Una nuvola dorata cala dal cielo, una mano angelica, un volto santo, un deus ex machina che risolverà tutto.
Assistiamo in questi giorni ad una nuova arte della rappresentazione dell’orrore.
Sono pittori che dipingono grafici fluttuanti, curve epidemiche s’innalzano e si colorano, s’impennano e non è un bene; s’abbassano, sprofondano… che poi è un bene.
Rappresentazioni interattive, virtuali, mappamondi 3d che lampeggiano di rosse luci (i malati) e neri abbagli (i morti) e verdi spot speranzosi (i guariti).
Non v’è giornale, trasmissione televisiva, sito internet che non abbia la sua stupefacente rappresentazione d’orrore.
Areogrammi, istogrammi, ascisse e ordinate disordinate, fluttuanti trend, previsioni veggenti, disattese attese che trasformano l’ultima figata rappresentazione in una già vecchia errata/parziale ricostruzione.
Magnifici algoritmi prendono il posto di pennelli e scalpelli, generando, come per magia, pensieri impensabili.
Spiegazioni di rappresentazioni che si sovrappongono ai démodé titoli di cataloghistica memoria.
Numeri che s’affastellano come chiazze di colore, un pointillisme di sequenze graduate, luci ed ombre che dipingono scenari.
E’ l’arte dei dati.
Guai a non ammirarli, si farebbe la figura di un semi analfabeta che non distingue una ruota o un bidet da un’opera d’arte.
Sono i dati l’ultima frontiera della rappresentazione di questo mondo?
O forse manca qualcosa?
L’arte, almeno fino al 900, era l’abbecedario del popolo. Anche gli incolti dovevano saper distinguere una figura santa da una demoniaca, tutti dovevano imparare, trarre conclusioni chiare, modelli di comportamento da imitare. La santità e la dannazione erano palesi nella loro stupefacente chiarezza.
L’arte dei dati, invece, è oltre il simbolismo, oltre l’astrattismo, oltre tutte le avanguardie: retro utopia allo stato puro. Non dice nulla, perché tutto classifica.
“E’ lo specchio della realtà”, si dice.
Ma noi, che siamo numeri incorporati dai dati, siamo comparse. Siamo l’artista che si dipinge. Siamo specchio e siamo soggetto- oggetto. Siamo sempre noi, rappresentati come curve, con sgargianti colori. Siamo la Puglia, ma siamo anche l’Italia e il mondo intero.
Siamo la legenda, senza esser leggenda, siamo un punto infinitesimo, un’incognita di un’infinità di variabili, siamo parte del significato senza poterlo mai significare.
Per fortuna ci sono gli esperti, che come i critici d’arte che tutto sanno, ci spiegano che quelle mirabolanti rappresentazioni vogliono dire tutto … oppure niente. Tutto dipende da come le intendiamo.
Ci troviamo dentro ciò che (non) stavamo cercando.
E’ arte, appunto. L’arte che ci tocca raccontare.
Ogni sera. Dopo le 18.