Si sa, si dice, si scrive, si legge, si argomenta che la vita su questo pianeta non sarà più come prima del covid-19. Panta rei. Tutto scorre e muta già da tempi remoti. Ora ne siamo più consapevoli.
Uscire fuori di casa, ora ci fa uscire diversi, cambiati. Abbiamo un corpo e una mente trasformata, o più olisticamente, abbiamo un corpo-mente che ha attraversato “strani giorni” e quindi si ritrova a confrontarsi con le ipotesi di sistemi e modelli di esistenza da “inventare”, da “aggiornare” o più semplicemente da rimettere in moto, rimettendo in discussione il concetto stesso di “moto”.
Il nuovo spazio delle possibilità per le Accademie di Belle Arti Italiane si interseca con quello delle opportunità, a più ampio spettro, della gestione del bene pubblico e dell’impresa privata.
Iniziamo da quello che rimane immune alla trasformazione, perché immune al virus: l’architettura degli spazi. Tornando in classe, le mura sono le stesse, le macchine sono le stesse, piacevoli, forse, ricordi di un passato che romanticamente ci fa tornare indietro a prima del covid-19, quando tutto andava, nella maggior parte dei casi, male. Poche risorse per le tecnologie, poco personale per garantire la candida igienizzazione quotidiana, poco spazio in termini di metri quadri procapite per l’esercizio della creatività, pochi fondi per l’acquisto di materiale da “belle arti”, pochi incentivi alla formazione informatica di docenti e amministrativi. Tanto poco. Ora per invertire l’andamento si potrebbe o avere una recessione e avere ancora meno, oppure cambiare rotta e avere “molto” a disposizione della’Alta Formazione Artistica. Avere lo stesso “poco” non sarebbe in linea con il mutamento e il dire comune che “nulla sarà come prima”.
Nel processo di riforma del comparto AFAM, costola dell’Università, tante sono state le speranze del tempo pre-covid, prima su tutte lo stipendio dei docenti che è ben lontano da quello dei nostri co-sternati docenti universitari. In quel tempo andato si pensava che gli artisti fossero meno di una delle qualsiasi declinazioni della grande sapienza, dalla medicina all’ingegneria, dalla giurisprudenza all’architettura, dall’informatica alla relazioni internazionali. Eppure, se qualcosa ci sta insegnando, durante il covid-19, è che le discipline sono diventate orizzontali e la verticalità ha perso di valore. Certo le star dell’intrattenimento, cosiddetti artisti, hanno ancora una forza comunicativa, ma essere follower di chi sta come me, e te che leggi, chiuso in casa, non ha poi tanto senso visto che l’arena dell’esibizione non è più né un palcoscenico né un campo sportivo.
Uno dei concetti portanti dell’età della rete, da un punto di vista antropologico, è che lo schermo interconnesso azzera le distanze e amplifica la comunicazione. Su questi cardini sta girando la giostra della formazione, adesso. A partire dall’asilo fino ai dottorati di ricerca.
Su questa giostra, per alcuni vissuta come un’esperienza estrema da mal di pancia se non da svenimento e da altri come una piacevole passeggiata nel già conosciuto, ci siamo tutti e tutti stiamo mettendo in “moto” dinamiche di relazione che il cervello pre-covid non riusciva ad elaborare.
Uno dei problemi maggiormente evidenziati nelle discussioni sul presente della gestione dell’Alta Formazione Artistica riguarda la distinzione tra la didattica a distanza di tipo teorico e la didattica a distanza di tipo laboratoriale. Ora, a ben vedere le Offerte Formative di tutte le Accademie, ci accorgiamo di un errore lessicale nella definizione del problema perché tra le tipologie delle attività formativa dei Piani di Studio la parola “laboratoriale” (le griglie ministeriali la indicano con L) è praticamente scomparsa. L’Offerta Formativa si snoda esclusivamente tra discipline Teoriche e discipline Teorico/Pratiche. A guardare con il lanternino non si trovano più discipline prettamente laboratoriali. Mi spiego in termini più semplici anche per coloro che non masticano di progettazione didattica AFAM. A caratterizzare le tre tipologie (laboratoriale, teorico/pratica e solo teorica) è la differenza tra le ore di lezione che il docente è tenuto a fare in classe e le ore di studio che lo studente è tenuto a fare a casa (o in biblioteca, o al parco o dove vuole lui/lei) per ottenere il Credito Formativo da conseguire, dopo esame, nel viaggio verso il Diploma Accademico (quando mi sarebbe piaciuto chiamarla Laurea, ma per legge quelli dell’AFAM sono Diplomi – accademici-, ma pur sempre diplomi, che echeggiano più alla Scuola dell’obbligo che non all’Università).
Il dramma semantico va a braccetto con il dramma dell’asimmetria stipendiale.
Fortunatamente, per gli studenti, il Diploma accademico è equipollente con la Laurea. Certo, una conquista, ma se da un lato il mercato del lavoro cerca professionisti, da professionalizzare con un corpo docente per più della metà “precario” e dall’altro il mercato dell’arte cerca artisti che inventino proprie nicchie di mercato, allora qui la matassa è difficile da sbrogliare senza un cambio di “moto”. Ma torniamo alla questione, apparentemente, più pressante delle fantomatiche discipline “laboratoriali” ma che in realtà sono disseminate come “teorico/pratiche”.
Il motto accademico è “tra tradizione e innovazione” diventato più uno slogan da marketing che non un’azione critica nell’agire post-moderno che ha sancito la fine delle “grandi narrazioni” come ci ha sottolineato Lyotard, oppure definita da Danto come l’epoca post-waroliana delle “frontiere ovunque”, ma qui rischio di perdere l’attenzione del lettore poco addentro alle questioni filosofiche e torno quindi più pratico per comprendere il significato del vecchio mantra “tra tradizione e innovazione” in relazione all’organizzazione della didattica a distanza delle discipline con maggiore attenzione all’agire in architetture attrezzate a laboratori di creazione artistica quali, storicamente, individuabili in Pittura, Scultura, Decorazione, Grafica d’Arte e Scenografia, ossia i primi cinque Diplomi Accademici individuabili dal codice 01, 02, 03, 04 e 05.
Faccio un ragionamento dal particolare al generale e inizio con una disciplina che già nella sua denominazione incute timore “Tecniche del marmo e delle pietre dure”. Come si può svolgere a distanza questa disciplina che evoca rumore e polvere, sicuramente poco adatta per uno spazio casalingo indipendentemente se condiviso con una famiglia o solitario?
Credo che la risposta, in questo momento, sia da rintracciare più nella tradizione pre-elettrica che non nell’innovazione post-elettrica che con i suoi strumenti ha velocizzato, amplificato e mutato il senso delle tecniche del marmo e delle pietre dure. Martellino, scalpellino, conoscenza geomorfologica, ricerca di prossimità di pietre dure, attenzione per quello che si ha, e si aveva anche se poi volutamente cancellato dal post-modernismo, acquisizione di pratica in piccolo, bozzetto, schizzo, analisi del passato, riscoperta delle tradizioni. Questi possono essere alcuni assunti per attivare un nuovo “moto” nella comprensione delle “Tecniche del marmo e delle pietre dure” in attesa di riaccendere gli strumenti elettrici, inforcare mascherine superprotettive e impolverarsi dalla testa ai piedi nella realizzazione di grandi sculture. Ma come recitava un adagio commerciale di qualche anno fa, è tempo di invertire e di pensare a sculture grandi in termini di qualità percettiva per l’artista e il futuro pubblico. Fermo restando che, se l’AFAM vuole entrare nell’Università deve smetterla di considerare “artisti” gli studenti. Sono studenti e basta. Poi saranno artisti, stanno studiando per esserlo ma finché non concludono il ciclo di studi non lo sono, proprio come ci insegnano gli ingegneri o i medici, ecc.
Altra disciplina in ansia da didattica a distanza, letteralmente sotto torchio, è la Grafica d’Arte con le sue tecniche dell’incisione avvolte in nubi di acidi aspirate da costosissime cappe, ragion per cui, mentre Lyotard scriveva la condizione post-moderna, alcuni Incisori hanno ben pensato di rivolgersi a tecniche dell’incisione meno tossiche ottenendo, con pratiche alternative, risultati alla stregua nelle migliori acqueforti o ceremolli. Qui, come succede per buona parte della Pittura, la creatività e la produzione artistica è soggiogata dall’industria dei materiali di “Belle Arti”. Sono rari i casi in cui uno studente impara l’antica arte dei pigmenti o della fattura degli inchiostri e forse, questa tradizione, potrebbe portare un’innovazione inaspettata in queste discipline strette a doppio legame con i materiali industriali.
Le nostre case, anzi il pianeta soffre di un surplus di carte, plastiche e materiali vari che possono diventare oggetto di studio e di ricerca, possibilità di mettersi alla prova creativa, simulando situazioni pre-elettriche proprio come quelle che hanno strutturato tutta la storia dell’Arte fino alla Rivoluzione Industriale. Tornare non a prima del covid, ma a molto prima, è la strada per accendere laboratori casalinghi in cui lo studente impara qualcosa che, ne sono certo, andrà a definire il suo essere “giovane artista” nel futuro post-diploma. Così, la Grafica d’Arte può liberarsi dall’incombenza del torchio, strumento per le grandi tirature con matrici e carte di materiali pregiati, e rivolgersi, in questo momento di fare laboratorio a distanza, a piccole tirature, ridotte, magari in sperimentazioni monotipiche, dove i materiali pregiati possono essere sostituiti da materiali di recupero, senza però perdere il processo che porta dal bozzetto con la matita alla produzione di matrici e quindi alla stampa. Gli introvabili rulli calcografici, se si guarda ad Oriente, dove l’Incisione è nata, possono essere reinventati con ramponi che si possono costruire guardando nella dispensa, prendendo una spugna dal lavandino o una pelle di daino dal garage.
Questo, penso che allarghi lo spettro della ricerca sulla Stampa d’Arte che uno studente può esperire restando a casa.
L’idea post-covid è che la casa è una palestra di esercizio del contemporaneo, uno spazio che da passivo diventa pro-attivo, intervenendo e interagendo nel processo formativo dello studente delle cinque Scuole della tradizione accademica. Innovazione è anche riscoperta del passato, laddove le pratiche e le ricette del passato della Storia dell’Arte sono state sepolte dalla coltre post-moderna della velocità a tutti i costi, compreso quello di dimenticare la natura stessa dei materiali che hanno determinato il fascino dell’antico.
Penso che la tradizione sia stata tradita e l’innovazione solo evocata nei trent’anni precedenti.
Penso che ognuno di noi, docenti dell’AFAM, debba depensare, come direbbe Carmelo Bene, il proprio agire per renderlo aderente al presente. Formare un artista del domani è complesso quanto formare un avvocato o un biologo. Questo è il nuovo “moto” che diventa “motto” per la sospirata riforma delle Accademie di Belle Arti Italiane.
Per evocare l’innovazione come funzione che dovrebbe far collassare la funzione formativa con la tradizione, l’Istituzione di Alta Formazione Artistica si è dotata, ampliando l’Offerta Formativa, di nuove Facoltà. No scusate, non possiamo chiamarle Facoltà, quello è lessico universitario, ma Scuole, giusto per non scivolare ancora dal Diploma Accademico alla Laurea Universitaria.
Alle cinque Scuole storiche 01-Pittura, 02-Scultura, 03-Decorazione, 04-Grafica e 05-Scenografia, se ne sono aggiunte altre cinque, qui di seguito elencate:
06-Scuola di Progettazione Artistica per l’Impresa;
07-Scuola di Restauro;
08-Scuola di Nuove Tecnologie per l’Arte;
09-Scuola di Comunicazione e Valorizzazione del Patrimonio Artistico Contemporaneo;
10-Scuola di Didattica per l’Arte.
La nascita di queste Scuole è anticipata dalla definizione di un ventaglio di nuove discipline che hanno l’obiettivo di ricucire le smagliature tra tradizione e innovazione, tra il presente espanso post-moderno e la necessità di alzare l’indice di conversione al mondo del lavoro dei diplomati, anche magistralmente attraverso il Processo di Bologna, con un percorso di studi di 3+2 anni.
Qui la questione diventa spinosa, perché, stando al pensiero pre-covid, l’Arte entra nel regno della minima attenzione da parte del pensiero capitalistico dominante. Si è pensato che attraverso la fondazione di cloni pseudo-universitari, come le non-facoltà ma scuole 06,07,08,09 e 10, l’Alta Formazione Artistica potesse colmare il divario con i numeri necessari alla sua sopravvivenza nella jungla del libero mercato, in cui è meglio studiare per essere squali che non tartarughe.
Queste nuove Scuole soffrono della stessa penuria di risorse, con uno svantaggio percettivo suppletivo legato alla natura immateriale di alcuni materiali di consumo a cui sono soggette per esistere come le licenze dei software. Nell’epoca pre-covid i software necessari alla didattica tecnologicamente migliorata non rientravano nella programmazione finanziaria di molte Accademie, lasciando alla buona volontà dei docenti e alla nascitura digitale degli studenti il fardello di barcamenarsi tra applicativi opensource e applicativi utilizzati innalzando maldestramente la bandiera dei pirati. Questo nel post-covid, visto che adesso che ci siamo nel bel mezzo ci stiamo accorgendo della necessità infrastrutturale dei servizi informatici, non può più essere tollerato e i programmi didattici devono essere supportati da adeguate risorse per i programmi informatici da mettere a disposizione dei laboratori a orientamento tecnologico.
Molto spesso le nuove Scuole sono nate senza gli spazi adeguatamente attrezzati e, confortati del fatto che tutti gli studenti hanno ormai un computer si è pensato di allestire – concettualmente un’idea brillante ma effettivamente un fallimento formativo – laboratori volanti basati principalmente su prolunghe e ciabatte elettriche.
Ma questa non è innovazione, né tanto meno Alta Formazione.
Paradossalmente la clausura interconnessa che stiamo vivendo ha creato spazi di relazione e collaborazione – fondati sul cyberspazio del web – che stanno accelerando alcuni processi di apprendimento legati alle discipline tecnologiche: per fare didattica online tutti devono avere un computer e gli studenti che avevano solo il “fisso” a casa, oggi possono finalmente seguire attentamente quelle lezioni in cui si esplorano le potenzialità degli applicativi dedicati alla progettazione, creazione e distribuzione di forme d’Arte in cui, citando Baudrillard, le immagini elettroniche diventano più reali della realtà fisica. Seguendo questo concetto, la simulazione della classe virtuale, ci stiamo accorgendo, diventa più classe della classe fisica. Di fronte allo schermo siamo tutti più prossimi, distribuiti in finestre che si aprono certamente sul privato della propria casa, ma che amplificano lo stato di relazione studente-docente e studente-studente.
Essendo quindi la tecnologia, e i media di comunicazione più in generale, degli amplificatori sia dal punto di vista ingegneristico che da quello percettivo, propongo di ridefinire alcune concetti chiavi come il Credito Formativo, introducendo nuovi rapporti tra le ore di lezione e le ore di studio. Penso che un’ora di lezione a distanza ne valga almeno tre, penso che il concetto di presenza – o frequenza obbligatoria – sia superato nel momento in cui l’accesso è orizzontale e l’organizzazione dello studio individuale è determinato dall’accesso “sempre disponibile” alle risorse e materiali didattici messi a disposizione dal docente. Penso che quanto stiamo imparando, come docenti in questa fase covid, sia l’aggiornamento di un sistema formativo a rischio obsolescenza. Penso che la libera circolazione delle idee e delle pratiche, la riscoperta del passato remoto pre-elettrico e l’amplificazione cognitiva introdotta dallo stare sempre connessi su temi critici all’Alta Formazione siano gli ingredienti indispensabili per affrontare il prossimo futuro, in cui, tra mascherine e applicazioni mobili di tracciamento, ci ritroveremo ad abitare le stesse mura che abbiamo lasciato qualche mese fa.
Bibliografia
Jean-François Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, Feltrinelli, 1981 [ed. orig. 1979]
Artur Danto in Learning Mind: Experience Into Art, University of California Press, 2010
Carmelo Bene, Cos’è il teatro? La lezione di un genio, Marsilio 2014
Jean Baudrillard, Simulacri e impostura, PiGreco, 2008 [ed. orig. 1981]