Sono passato di ruolo (tecnicamente un contratto a tempo indeterminato, comunemente detto posto fisso) nell’Alta Formazione Artistica per una disciplina che, insieme ai maestri degli anni Settanta e ai coetanei degli anni Novanta, ho contribuito a inventare.
Le Applicazioni Digitali per le Arti Visive hanno una declaratoria ministeriale di riferimento che qui riporto.
Il settore comprende le competenze legate all’applicazione di strumenti digitali evoluti ai linguaggi visivi artistici, tanto per ciò che concerne gli aspetti sperimentali ed espressivi, quanto per le possibili applicazioni professionali. L’approccio alle tematiche che caratterizzano il settore, prevede, in particolare, la trattazione, sotto il profilo teorico, metodologico ed applicativo, dell’immagine digitale a due e tre dimensioni, la sua elaborazione statica ed in movimento. L’esperienza laboratoriale costituirà un momento essenziale dell’esperienza formativa in rapporto alle diverse forme di rappresentazione ed ai differenti strumenti.
Il punto, evidenziato in grassetto, è un passaggio critico nella comprensione della condizione dell’Alta Formazione Artistica in generale. “Quanto per le possibili applicazioni professionali” è un’affermazione che, nella sua essenza, esprime la necessità di intersecare nel discorso sul digitale le sfere dell’Industria e del Mercato, in quanto le tecnologie digitali sono il risultato di un cambiamento di paradigma nell’organizzazione dell’Industria dell’elettronica, campo in cui la ricerca scientifica è l’elemento propulsivo che porta all’invenzione e quindi al brevetto.
Le applicazioni digitali per le arti visive sono nate sull’onda delle rivoluzioni sociali, politiche, economiche, scientifiche e artistiche che, a spizzichi e bocconi, si stanno ricordando per il solo motivo numerico del Cinquantenario. Incasellate in un contesto di rivoluzioni quasi-quotidiane a cui la società contemporanea è abiatuata, le rivoluzioni avviate nel mitico ’68 hanno preso la strada della banalizzazione del sublime (Mosco, 2004).
Cinquant’anni fa i maestri hanno varcato la frontiera dell’elettronica digitale, che l’Industria iniziava a produrre a costi decrescenti, e hanno segnato i primi sentieri per orientarsi in un territorio per sua natura complesso.
Negli anni Novanta, avevo ventanni quando il mondo è cambiato con il World Wide Web (una Rivoluzione, paragonabile soltanto all’invenzione della scrittura e della stampa a caratteri mobili.
A ventanni, quando si approda in un territorio mai esplorato prima, ti senti un pioniere, proprio come i cowboy alla ricerca dell’Eldorado, ma con una differenza sostanziale: il nuovo territorio è un’espansione elettromagnetica dello spazio mentale.
In questo nuovo territorio il corpo è una prigione da cui liberarsi attraverso la connessione con schermo, tastiera e mouse. L’accesso è istantaneo, prevedibile per chi ha letto Neuromante (1984) di William Gibson o per chi si è lasciato avvolgere dal Dolby Surround di Matrix (1999) dei fratelli Wachowski. L’accesso al cyberspazio è ormai banalizzato nelle generazioni nata dopo l’11 Settembre 2001 e cresciute con il computer camuffato da telefono portatile.
Non intenderò considerare le possibili applicazioni professionali nel corso della mia ricerca, perchè sento il bisogno di soffermarmi sugli aspetti sperimentali ed espressivi, con l’intenzione di rendere le applicazioni digitali degli strumenti che (percepiti come una scorciatoia per l’ingresso nel mondo del lavoro), possono aiutare lo studente a leggere criticamente la realtà e aiutare il docente ad alimentare quello sguardo verso un’ecologia della mente (Bateson, 1972), necessario per la gestione dell’accesso istantaneo al virtuale.
Viviamo nella Cibersfera.
Le applicazioni digitali per le arti visive sono emerse da un’insieme di quattro oloni (Koestler, 1968) che ho chiamato Agenzie, Festival, Artisti e Scuole, che funzionano da generatori di Tecnologia e Capolavori. L’emersione di queste nuove organizzazioni fondate sulla diffusione della micro elettronica e dei modelli di simulazione di sistemi complessi, hanno avuto origine negli anni Cinquanta del Novecento, ed hanno raggiunto la radicalizzazione negli anni Novanta, grazie anche all’accellerato progresso nella potenza di calcolo, capacità di archiviazione, sofisticatezza del controllo e universalità della comunicazione espressa dai computer e dalle inter-reti tra gli stessi.
Ho vissuto l’accesso istantaneo alla complessità del virtuale, non come una prigione per il corpo ma piuttosto, come una posssibilità per viaggiare, conoscere nuove persone e paesaggi (gli elementi della cultura). Nutrire lo sguardo con immagini reali per equilibrare il sovraccarico di immagini virtuali immediatamente accessibili, sempre, ovunque, in tasca.
Per reale intendo la casa, la strada, il paesotto, la città, la metropoli, la megalopoli e quel che rimane del paesaggio naturale (prato, bosco, foresta, giungla, deserto, spiaggia, alto mare, sott’acqua, montagna, collina).
Per virtuale intendo una collisione tra i concetti di Noosfera (Teilhard de Chardin, 1925), Ipertesto (Nelson, 1965), Iperrealtà (Baudrillard, 1976), Cyberspazio (Wilson, 1984) e i progressi tecnologici della nuova industria dei brevetti che commercializza macchine psicoattive a costi sempre più bassi, traghettandoci nella condizione post-moderna (Lyotard, 1979).
Il virtuale è stato un territorio inesplorato fino agli anni Novanta. I pionieri, per varcare la frontiera del digitale, oltre al fagotto della propria storia personale, si sono dotati di strumenti singolari come i linguaggi di programmazione (necessari per avanzare nella fisicità degli hard disk locali), modem (necessari per accedere a computer remoti), una buona dose di letteratura scientifica e fantascientifica, e qualche mollica di recondita poesia.
Quando nel 2005 sono entrato, con un contratto ad ore, come docente dell’Accademia di Belle Arti di Lecce, ho capito che gli anni passati nel virtuale potevano essere ripensati insieme agli studenti, per cercare di comprendere, anno dopo anno, i diversi presenti.
Il punto di svolta arriva nel 2011, quando l’Accademia di Bari emana un bando per supplente annuale (con stipendio ministeriale mensile e tredicesima) proprio per Applicazioni Digitali per le Arti Visive (riconoscibile dal codice ABTEC38) e risulto primo nella graduatoria d’Istituto.
Finalmente posso dedicarmi alla ricerca, finanziato direttamente dallo Stato.
Nel 2014 pubblico il mio primo libro – Il Codice dei Cibernetici, Introduzione alla Computer Art con Processing – quale frutto di questa nuova finanziata ricerca nel campo del virtuale. Mettendo insieme dieci anni di studi e viaggi, ho disegnato una timeline dei cambiamenti avvenuti oltre la frontiera del digitale, in termini di orientamenti artistici, progressi tecnologici e dispositivi di rappresentazione che, tutti insieme esprimono il paradigma di riferimento.
Gli artisti del digitale, nel decennio che sta orami per concludersi nel 2020, stanno dimostrando una propensione ad agire come anticorpo per il bene della società (Blais e Ippolito, 2006), laddove la società è un corpo infettato dal virus della tecnologia.
La nuova carta (il più riconoscibile dei dispositivi di rappresentazione) è la città.
Già nel 2008, la Cerimonia di Apertura delle Olimpiadi di Pechino, il mondo mass mediadico aveva assaggiato la transizione culturale in atto, vedendo in mondovisione lo schermo digitale gigante su cui si è intrecciata la drammaturgia multimediale dell’evento. Siamo produttori di schermi digitali! – hanno urlato i cinesi in silenzio, come solo la filosofia orientale insegna a fare.
Adesso che sono di ruolo è giunto il momento di rivedere i risultati di quella ricerca avviata a Bari nel 2011 e finanziata dal Ministero dell’Università e della Ricerca, dal 4 dicembre 2018 per sempre.
Student works Computer Art
a.a. 2016/2017
a.a. 2015/2016
a.a. 2014/2015
a.a. 2013/2014
a.a. 2012/2013
Student works Digital Video
a.a. 2014/2015
a.a. 2013/2014
Tirando le somme sono 43 Applicazioni Digitali per le Arti Visive, nel senso più stetto di sperimentazione con le tecnologie a disposizione in quel momento nell’Istituzione e di espressione con l’orientamento a indagare lo sguardo sulla realtà del singolo studente in relazione alla presa di coscienza della condizione post-moderna.
Tutto questo in un progetto formativo che ritengo da riformare nell’ambito dell’Alta Formazione Artistica che sta incentivando la nascita di Scuole di Nuove Tecnologie per l’Arte più per alimentare il mercato capitalistico della produzione e del consumo, invece di orientare la formazione artistica verso il pensiero critico e la possibilità, non di entrare nel mercato (mondo del lavoro), ma di creare nuove nicche di mercato per le proprie visioni e rappresentazioni dell’iperrealtà del presente.
Per acquisire dimestichezza con i linguaggi digitali ritengo che il modello a frammentazione settimanale, su sui si fondano i correnti calendari delle lezioni, debbano essere rivisti alla luce dei risultati di modelli educativi basati su spazi enattivi (Varela, 1991) ed esperienze immersive (Arzori e Infante, 1997). La dimensione dello stare insieme, prossimità psicofisica, e del fare insieme, accesso alle tecnologie, se frammentata rischia di creare delle paralisi empatiche nei confronti delle opportunità effettive espresse dal virtuale per un giovane artista, nato digitale e cresciuto, nella maggior parte dei casi degli studenti incontrati nelle Accademie di Bari e Lecce, in un paesotto del Sud Italia.
Il paesotto del Sud Italia (3.000-300.000 abitanti) è un anticorpo attivo nell’iperrealtà. Denso di contraddizioni e pregno di storie, il paesotto figlia agenti della società dello spettacolo (Debord, 1967) e della civilizzazione video-cristiana (de Kerckhove, 1990) capaci di integrarsi negli oloni della scienza, dell’arte, dell’industria e del mercato quali sovrastrutture interconnesse con gli oloni emergenti nell’epoca dell’elettronica e dell’informatica (Agenzie, Festival, Artisti e Scuole).
Le Accademie di Belle Arti intercettano passioni e propensioni che hanno a che fare con istinti atavici come il disegno e quindi la necessità di lasciare una traccia nel mondo.
Il problema radicale è che questo desiderio sublime di “lasciare una traccia nel mondo”, le nuove tecnologie post-worl-wide-web lo hanno banalizzato rendendolo un’interfaccia uniforme per tutti.
In questo clima di amputazione accelerata della memoria del paesotto, la scuola stenta a rigenerarsi per sintonizzarsi sulle frequenze dei nativi digitali. Iperattività, iperdistrazione, ipersensibilità sono considerate disfunzioni del bambino, quando invece, alla luce del paradigma culturale degli anni Novanta – Hyperconnessi -, sono da considerarsi espressioni dell’avvenuta simbiosi uomo-macchina (Licklider, 1960) e della cristallizazione del concetto di iper quale prefisso di un tempo che è inciampato sull’iperspazio matematico (Cayley, 1867) per poi cadere tre le braccia dell’ipermercato all’americana.
Nel Sud Italia convivono natura, ipermercati, paesotti e una possibile metropoli, Bari.
La nuova carta è la città.
Seguendo questo principio, e vedendo le molteplici esperienze possibili con quello che conosciamo come videomapping, proprio quest’anno, grazie ad un Protocollo d’intesa per la valorizzazione dei silos granari nelle aree portuali di Bari e Barletta, in cui si affidava alla mia Accademia il compito di valorizzare un pezzo di urbania, sono riuscito a proporre e far accettare un’opera d’arte con la Luce in grado di indicare una possibile direzione politica e culturale al futuro delle nostri paesotti che diventano metropoli (per diverse ragioni, non ultima l’integrazione tra indigeni, migranti, rifugiati, global trotter e turisti).
Il progetto è stato presentato il 3 dicembre 2018, dal Sindaco di Bari Antonio Decaro, nel corso del Convegno “I Porti del Mezzogiorno”.
Se la nuova carta è la città, mi rivolgo allora a tutti i proiettanti che ho incontrato di persona e non.
Abbiate coscienza del potere della luminescenza e usatelo per espandere le storie del vostro cuore, della vostra mente, della vostra famiglia, della vostra terra, della vostra realtà e della vostra iperrealtà. Non impachettate i palazzi con fiocchi di luce, perchè questo alimenta il consumo, quando invece dobbiamo evocare rispetto e sostenibilità per la Natura depredata dall’industria (guidata dallo spirito capitalistico delle multinazionali). E’ un atto di resistenza necessario affinchè l’Arte possa accogliere visioni dal Sud capaci di riverberarsi in Europa e nel mondo.
Le architetture, le strade e le piazze, sono spazi pubblici. Anche se espansi dalla luce devono restare pubblici, nel senso più sacro del bene pubblico.
Sta per arrivare Natale e il videomapping è nella fase di decrescita dei costi (grazie all’accesso a videoproiettori molto potenti a prezzi sotto i diecimila euro), questo, anche se la curva del sublime che degrada verso il banale dimostra il contrario di quanto sto per dire, deve alimentare lo spirito di nuove narrazioni possibili nell’urbania. Ovunque sia possibile non infiocchettate chiese e palazzi, ma scendete nelle cripte, ascoltate il silenzio, sentite l’odore del tempo e poi, senza pattuire alcun compenso, accendete il proiettore. Quello che ritorna non ha prezzo. I costi sono un’altra cosa, dipendono da quanto si è disposti a cedere al virus tecnologia per acquisire informazioni necessarie affinchè il sistema immunitario (gli artisti anticorpi) riesca a riverberare bellezza, come antitodo alla violenza e all’intolleranza tra le genti del nuovo mondo (anche a Sud).
Le visioni possibili della notte dei paesotti del Sud, a Natale e non, hanno bisogno di tempo, ricerca, riflessione e azione. Le Applicazioni Digitali per le Arti Visive seguono un percorso in cui si interseca la storia personale con il progresso tecnologico accessibile in quel momento. Se le città devono diventare intelligenti, ossia monitorizzate in ogni singolo componente (elettricità, acqua, fogne, inquinamento, traffici per cielo-mare-terra, sms, telefonate, social life, video streaming, audio streaming, photo streaming, face recognition, bancomat, criptografia, email, allegati, blog, forum, live, ondemand), allora i paesotti possono esprimere, come altra fronte di Giano, l’intelligenza emotiva, creativa, critica, consapevole dei nostri giovani artisti che hanno una visione unica e privilegiata del mondo di adesso, ma con l’energia dei ventanni.