Di quando si smise ad andare al mare e si cominciò ad andare al bosco

Futuro incerto

Le condizioni in cui il presente consegna il futuro alle prossime generazioni sono fondamentalmente incerte. Condizioni precarie nello stato del pianeta martoriato da un sistema industriale che ha innescato l’illusorio bisogno del consumo di oggetti fuori di sé.

«L’alienazione dello spettatore a beneficio dell’oggetto contemplato (che è il risultato della sua stessa attività incosciente) si esprime così: più contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la sua propria esistenza e il suo proprio desiderio».  (Guy Debord, La società dello spettacolo, Baldini&Castoldi, 1997, p. 63)

Condizioni precarie nella percezione del futuro per la generazione di laureati da un’Università sempre più agenzia matrimoniale e colonia familiare che avvizzisce come radici di menta selvatica sul cemento. Condizioni precarie nello stato di salute mentale della maggioranza dei giovani, costantemente spinti a specchiarsi nella televisione, cinema e riviste che mostrano soltanto cazzetti e fighette.

La società della conoscenza in cui crediamo di vivere, costantemente interconnessi, è nella realtà dei territori una condizione precaria di reciproco allentamento da persona a persona, e da persona a natura. Il villaggio globale è collassato nell’isolamento isterico della città digitale. Le piazze dei paesi del Sud sono vuote e i giovani ragazzi si parlano addosso come in una trasmissione calcistica mentre le ragazze fumano una sigaretta e rispondono velocemente al nuovo sistema di messaggio corto – sms – che sfavilla sullo schermo del cellulare. Le relazioni tra le persone vacillano come barre di cemento in tensione e le Istituzioni approfittano dell’imminente frattura con leggi che usano la parola precario come nuovo modello di esistenza. Sono della generazione del posto fisso. Una generazione cresciuta tra la memoria delle pietre antiche come menhir e la memoria prodotta e consumata alla velocità della luce dei bit. Il desiderio di ricerca è il bisogno di sentire il mondo, di conoscere la natura, di raccontare all’altro l’esperienza del presente. Molto spesso dimentichiamo che i bambini sono lo specchio più chiaro sia della nostra saggezza che della nostra più intima deviazione. I bambini di città non conoscono il cielo stellato ma bevono lette in polvere. Nel mondo occidentalizzato in cui il management investe su farmaci psicoattivi per tenere a bada bambini stressati dagli adulti, è triste immaginare la natura del prossimo futuro dell’esistenza umana.

In nome del dio denaro troppe persone hanno perso la bussola dell’esperienza del sé e dell’altro fuori di sé. La gestione di cose e persone, senza essere dei veri regnanti, ha condotto la classe de-creativa – management – a chiedere alle altre persone di consumare e di consumarsi in città deviate da architettura luccicante e cibo di plastica. Nella grande città – metropoli – quello che hai in banca è solo lo specchio di quanto hai tolto  all’anima del mondo. La responsabilità è alta e mette in gioco la percezione della realtà di una specie a natura multiversa come quella umana. I sud del mondo hanno la responsabilità di ricercare le risposte alle domande di ecologia, sostenibilità, tecnologia e mercato che la società della conoscenza ha posto dall’occidente del mondo. Il sistema capitalistico, per sua natura numerica, andrà necessariamente ad implodere date le condizioni di linearità imposte dal nostro pianeta limitato. Il valore della moneta con cui compriamo oggetti materiali e immateriali è per definizione fondato su una serie numerica a segno negativo (debito) che tende al limite verso il valore chiamato dai matematici meno infinito.  Questo vuol dire che il sistema monetario mondiale non può consumare all’infinito le risorse di un pianeta limitato dove l’ecosistema vita ha imparato a fermarsi al momento giusto. La condizione del pianeta Terra è precaria. Precaria come l’imprevedibilità di ogni lancio di un dado. Precaria come la conoscenza della fisica della materia, che include l’essere umano come osservatore attivo (serie di variabili perturbanti) nel complesso sistema dei simboli numerici. Precaria come la percezione del cervello elettronico alla base delle tecnologie di calcolo e comunicazione che hanno definito la società della conoscenza post-industriale. La condizione del pianeta Terra è precaria. Precaria come il caso. Precaria come la necessità. Precaria come una variabile randomica capace di generarsi dalla complessità di un calcolo piuttosto che dall’osservazione di un evento in natura. Precario vuol dire che tutto può succedere. Sapere di non sapere, perchè la natura sa quando fermarsi al momento giusto per continuare ad esistere sulla nostra palla blu, verde e gialla, mentre il sistema capitalistico ha avviato una spirale viziosa in cui molte menti umane hanno dimenticato le origini, hanno costruito utopie e ucciso il senso della famiglia come nucleo sociale interattivo con il territorio.

Nella società della conoscenza dove oltre un miliardo di persone abitano nelle città digitali ormeggiate sul mare di internet, assistiamo ad un sentimento nuovo e globale di appartenenza alla famiglia degli uomini. I grandi disastri generati dai capricci di assestamento delle frazioni di Pangea corrono alla velocità della luce lungo il pianeta. Le informazioni sul maremoto del Giappone, il terremoto dell’Aquila, lo Tzunami tailandese, l’attesa del Big One della Faglia di Sant’Andreas viaggiano in forma di bit lungo il rizoma di rame e onde di internet e diventano specchio emotivo per chi le guarda e le ascolta. Genera fenomeni inimmaginabili di coesione e di attenzione verso la condizione precaria post disastro naturale. Ogni civiltà pre elettrica aveva imparato a ricordare i disastri naturali del proprio territorio con rituali sociali e pedagogici. Oggi impariamo a dimenticare il più in fretta possibile.

Tenere in vita

La condizione post industriale con l’abuso (senza limiti né etici né estetici) dell’immagine è intervenuta con un’azione di riconfigurazione del sistema neurale alla base dei nostri pensieri e dei nostri sogni. Siamo quello che vediamo e ascoltiamo. Siamo un corpo senza pelle sensibile. Saremo padri e madri farmacologicamente deviati, saremo genitori che si specchiano nel nulla del nulla televisivo.

« Da quando la medicina e l’igiene hanno fatto diminuire la mortalità infantile, le uniche barriere rimaste contro la sovrappopolazione (a parte il controllo delle nascite) sono la guerra e le carestie». (John B.S. Haldane, Bertrand Russell, Dedalo o la scienza e il futuro. Icaro o il futuro della scienza, cit., p. 59)

Finché non conosco la forma dell’immagine, definibile attraverso i misteriosi legami chimici che ci fanno comprendere potere e bellezza come memi che abitano una colonia di idee che comprende anche le buone idee di natura, non potrò dare il giusto limite ai contenuti. I contenuti delle idee di natura sono le risorse evolute e i sedimenti che formano il nostro geoide in rotazione intorno al Sole. La forma delle idee di natura è semplice e complessa come un frattale; con l’ancora sconosciuta capacità di controllare un modello caotico come quello ecologico sulla base di limiti derivati dalla relazione con il tutto.

Il liberismo post industriale ha generato nuove idee fondate sulla non relazione con il tutto, ma verticali su uno specifico tema. I boschi che autoregolano la natura selvaggia, con l’azione perturbante dell’uomo, lasciano il posto a terreni controllabili dal corpo e dalle idee umane. L’evoluzione della mente umana è, nella forma del cervello, un infittirsi di trame elettro chimiche che si rimodellano in continuazione per tenere in vita il corpo sensibile.  L’evoluzione della mente umana è, nel contenuto del cervello, un rizoma che dialoga con i sensi del corpo (tatto, vista, udito, olfatto, gusto) in relazione con il mondo esterno. Il rizoma mantiene memoria dell’esperienza dei nostri sensi. Il rizoma si diverte a stringere forti relazioni sinaptiche quando i sensi irradiano nella rete neurale ondosi messaggi codificati attraverso la pelle, gli occhi, le orecchie, il naso e la bocca. Il liberismo post industriale ha ereditato il sistema bancario dei prestiti e dei depositi della moneta, generando l’attuale moneta digitale con la quale si costruiscono città sconfinate e si illudono i cittadini con il valore del prestito del denaro. Nel mondo reale il prestito avviene quando qualcun altro ha qualcosa che non ho. Se devo appendere un quadro e non ho il martello, se il vicino si presenta con il disegno del martello, è impossibile risolvere il problema e il quadro mi rimane in mano. Nel mondo artificiale della moneta digitale le banche possono creare nuovo denaro sulla base della mia firma di richiesta di un prestito. I banchieri, invece, con il gioco garantito dalle istituzioni liberiste, si divertono a creare nuovo denaro. «Questo è un pensiero vacillante. Siamo completamente dipendenti dalle Banche Commerciali. Qualcuno deve prestare ogni singolo dollaro che abbiamo in circolazione, moneta o in forma di credito. Se le Banche creano un ampio sistema monetario sintetico, allora noi siamo una civiltà prosperosa; altrimenti moriamo di fame. Siamo assolutamente senza un sistema monetario stabile. Quando si comprende l’intero contesto della creazione di denaro, la tragica assurdità della nostra – i banchieri – posizione senza speranza ci pare incredibile, ma così è.» ( Robert H. Hemphil citato nel video di  Paul Grignon, Money as Debt, Moonfire,  visibile all’indirizzo http://www.documentary-film.net/search/watch.php?&ref=189).

Il valore del denaro non rappresenta più quello che si possiede (dalle pecore all’oro) ma si alimenta di variabili a segno negativo come il debito e l’interesse. E’ opinione pubblica la sentenza nasciamo già indebitati. Ma nessuno si domanda come funziona davvero il sistema monetario mondiale che nasce nell’Inghilterra del 1694 e oggi vive nei prestiti delle carte di credito e nelle transazioni (somme e sottrazioni) tra conti bancari virtuali, buoni del tesoro, monetine di rame e fogli di carta filigranata. Il sistema di riferimento globale è il modello americano che è stato definito in un libero documento online chiamato la meccanica della moneta moderna dove si spiega la perversa semplicità di una formula che cresce esponenzialmente verso l’infinito negativo. (Modern Money Mechanics. A Workbook on Bank Reserves and Deposit Expansion, testo integrale  in inglese su www.rayservers.com/images/ModernMoneyMechanics.pdf). Stampare e coniare denaro dal nulla è la meccanica della moderna moneta. E sono solo le banche centrali a poterlo fare.

Inflazione

La società civile paga una tassa magica chiamata inflazione e il debito pro-capite corrode le innate speranze del cervello umano disegnato non per attivare aggressione, violenza, interesse personale e utilitarismo, ma piuttosto socialità, passione, affetto e amore. I cittadini diventano schiavi di un sistema perverso che li obbliga a cercare un lavoro per produrre oggetti materiali e immateriali che servono ad alimentare la formula della creazione di moneta dal nulla. Ignara del funzionamento del denaro e martoriati da immaginari visivi prodotti in massa sui media di comunicazione, la società civile dell’era della conoscenza è chiusa nelle città digitali, dove la moneta neppure si tocca e si può acquistare un computer nuovo utilizzandone uno vecchio ma che funziona ancora. Ci siamo mai chiesti come accade tutto questo? Una zona del cervello è bravissima ad attivare sensazioni sul corpo in risposta a quanto succede ad un mio simile. I neuroni specchio abitano il territorio del rizoma cerebrale capace di avviare un intenso scambio di informazioni tra quello che si vede e quello che si percepisce. Se la mia compagna ha paura dei ragni, ed un ragno le cade sul braccio, di riflesso i neuroni specchio riescono ad interferire sulla mio apparato sensorio, provocando su di me – in tempo reale – la stessa reazione.

Dall’invenzione della scrittura ad oggi, la nostra capacità di mimesi con quello che vediamo in immagine, leggiamo nel nostro alfabeto e ascoltiamo con le nostre orecchie non è cambiata di molto. Siamo schiavi inconsapevoli di una classe dirigente deviata che vuole perdere la grande opportunità dell’esistenza umana sul pianeta Terra. Dietro ogni nuova richiesta di denaro c’è la casa di due sposi con lavoro precario così come il progetto di un nuovo grattacielo a Dubai. L’aggressione, la violenza, l’interesse personale e l’utilitarismo, come un bosco appena bruciato sul dorso di una collina, genera solitudine. Il cervello per tenersi in vita si nutre delle informazioni sensoriali che diventano la coscienza che governa l’architettura del nostro corpo. L’appartenenza alla classe dominante degli Stati Nazione fondati sul moderno sistema monetario a riserva frazionario è così instabile e gli individui sono così vulnerabili nello spirito, che un capriccio represso o un tradimento inter personale, può scatenare una spirale perversa in cui tutti i nostri risparmi, così come sono stati creati dal nulla, nel nulla ritornano.

«Come gli stati si sono battuti per dominare dei territori, e in seguito per controllare l’accesso e lo sfruttamento delle materie prime e della mano d’opera a buon mercato, è ipotizzabile che in futuro essi si batteranno per dominare l’informazione». (Jean-Francois Lyotard, La condizione postmoderna, Feltrinelli, 1997, p. 14)

La precarietà dello spirito della classe padrona è diventata l’atmosfera da condividere con la società civile che sta perdendo la linfa del futuro, sotto i colpi della pubblicità commerciale, i capricci dei governanti e l’obsolescenza delle cose.

«Il tasso di interesse negli affari e il sistema capitalistico sono condizionati dal fatto che le attività commerciali sono iniziative relativamente a breve termine e non sono in grado, per loro stessa natura, di prestare molta attenzione agli interessi a lungo termine della razza umana, agli interessi che abbracciano i secoli».  (Norbert Wiener, L’invenzione. Come nascono e si sviluppano le idee, Bollati Boringhieri, 1994, p. 145)

La linfa del futuro sono i vecchi e i bambini, entrambi sono sotto scacco del modello liberista. «La tendenza a non fare più tutti gli sforzi per «tenere in vita» sarà seguita dalla licenza di uccidere. Gli storici che guarderanno al passato da un futuro carico di violenza avranno la chiara sensazione che il massacro degli indesiderabili è cominciato ai nostri giorni, con l’eliminazione dei non ancora nati e dei vecchi. […] Il liberismo occidentale, indebolito dalle sue incoerenze, sembra destinato a essere spazzato via da una nuova ondata di fascismo. Sarà difficile,  per la generazione dei miei figli, trovare il coraggio di lottare per un’umanità imperfetta che, con l’aborto, vuole sopprimere delle vite innocenti, mentre santifica quelle dei criminali, o che mina dall’interno i suoi stessi principi mettendo al bando il rigore morale come politicamente sbagliato». (Felipe Ernandez Armesto, Millenium, Mondadori, 1999, pp. 480 – 481)

La solitudine dello spirito dei moderni governanti vuole essere imposta alla società civile, che per sua natura ama la socialità, la gioia, la curiosità verso il mondo e l’appartenenza a lungo termine a cose e persone. La socialità, la passione, l’affetto e l’amore sono connessioni del rizoma cerebrale che abbiamo dentro da sempre nel nostro codice genetico. Affinché possano resistere all’angoscia che ci accompagna dalla nascita, la socialità, la passione, l’affetto e l’amore devono trovare un giardino fertile nell’individuo che si va formando. A sei mesi un bambino riesce a riconoscersi allo specchio costruendo un’empatia matura che gli permette di comprendere la differenza tra sé e gli altri. L’individualità nutre l’empatia con il mondo esterno, e la nostra capacità di sentire quello che il mondo fuori di noi sente è un dono della nostra evoluzione. All’età di otto anni il cervello umano riesce a comprendere l’idea di vita e di morte che si radicano a meraviglia nel rizoma della memoria. Questo è l’inizio del viaggio esistenziale dell’individuo umano. L’empatia risiede nella condivisione della certezza della morte e della gioia della vita. L’empatia cresce attraverso le nostre debolezze e imperfezioni e matura di fronte allo specchio del proprio senso di appartenenza ad un ecosistema natura grandioso e glorioso.

La società dell’ignoranza

La società della conoscenza è in realtà la società dell’ignoranza. Nasciamo con un debito monetario sulla testa. Questa condizione precaria vibra sulla nostra pelle e per empatia su chi ci sta vicino. Di riflesso anche quello che sente chi ci sta vicino si propaga sulla nostra pelle e si memorizza nella nostra mente. Un bambino occidentale di otto anni attraverso gli innumerevoli schermi, che definiscono il suo mondo esterno, riceve stimoli sensoriali in quantità abominevole. Le immagini in movimento del cinema e della televisione, le copertine dei giornaletti, i cartelloni della città, il lampadario della sua stanzetta e l’ambientazione virtuale dell’ultimo videogioco trasmettono in tempo reale esperienze che disegnano i sogni di un bambino. La responsabilità è altissima. Il terzo millennio ha battezzato l’era della crisi monetaria globale tanto per la sua natura esponenziale, tanto per gli effetti delle idee finanziate con il denaro creato dal nulla. Idee industriali e post industriali che hanno contribuito ad indebolire il senso di appartenenza alla natura a vantaggio del senso di appartenenza alla città cibernetica.

«Alla città rimarranno quelle funzioni di centro monumentale per cerimonie che ha avuto in altre società del passato: un posto specifico destinato a certe esperienze culturali non fruibili altrove, a certe forme di intrattenimento o di culto religioso, o a quelle celebrazioni laiche che richiedono grandi assembramenti di persone e spazi monumentali». (Felipe Ernandez Armesto, Millenium, cit., pp. 488)

La farfalla che si libera, come una crisalide, dalla crisi della moneta ha le ali incise da chiavi originali come parole. Parole che devono essere tradotte nella diversità e bellezza delle lingue del mondo. Parole di cui va ricordato l’etimo. Parole che fioriscono nel mondo interno delle idee. Un’idea nuova vive nel rizoma della mente libera.

«La verità può renderci liberi soltanto se la si può conseguire liberamente». (Norbert Wiener, L’invenzione. Come nascono e si sviluppano le idee, cit., p. 179)

La mente umana si è evoluta in continua relazione con il mondo esterno della natura. L’intelligenza logica si è trovata a proprio agio nella parte sinistra del cervello, mentre le emozioni, il senso di appartenenza alla grande famiglia della natura e la solidarietà tra simili si è adagiata sulla parte destra. Entrambe le calotte interagiscono interpretando il mondo esterno attraverso abilità di default come la creatività, la fantasia e l’invenzione. Queste abilità cooperano e competono con altre idee del mondo esterno come intolleranza, aggressività e violenza. L’individuo connesso assorbe in tempo reale attraverso sofisticati sistemi digitali immagini sintetiche – pensate da altri – in cui la forma dell’essere umano perde il suo contenuto. La bellezza digitale trasmessa attraverso gli schermi di massa presenta un corpo dissociato dal suo spirito gioioso. Sembra che i personaggi degli schermi non riescano a fare mai la cacca, sono androgini, morti prima di morire.

«Il cambiamento chiave è che il nostro uso del tempo si è intensificato. Oggi cerchiamo di riempire di attività e di esperienze ogni minuto, sia al lavoro che a casa e nel tempo libero. Così facendo la nostra percezione del tempo e il nostro modo di utilizzarlo vengono deformati e assumono configurazioni nuove. è quello che sperimentiamo nel corso della giornata, o della settimana, a mano a mano che i nostri programmi diventano sempre più flessibili e intrecciati. E lo stesso si verifica nella lunga traiettoria della vita, dove tanti di noi sovraccaricano l’inizio della carriera, rimandando il passo del matrimonio e dei figli, o cambiano radicalmente strada a metà percorso. La classe creativa è all’avanguardia di queste tendenze nell’utilizzo del tempo, e ciò a sua volta conduce a un nuovo spartiacque: stiamo trasformandoci in una società in cui gli appartenenti a quella classe vivono in un tempo diverso da quello del resto del paese». (Richard Florida, L’ascesa della nuova classe creativa. Stile di vita, valori e professioni, Mondadori, 2003, p. 199 – 200)

La nostra mente si tiene in vita interagendo continuamente con il mondo esterno e il mondo interiore delle idee e delle emozioni. Decodificare il senso della bellezza è la capacità di empatia estetica con il mondo esterno. L’empatia estetica si attiva nella parte destra del cervello, dove insieme alle memorie della nostra esperienza di vita e alle immagini degli schermi esterni incorniciate nei nostri sogni e visioni, fa nascere nuove relazioni che rimodellano giorno dopo giorno la nostra intelligenza. La conoscenza delle relazioni tra uomo e natura non passa mai dal supermercato. Eppure nella presunta società della conoscenza la ricetta e le sementi hanno lasciato il posto alle più intelligenti scatolette e lattine. Associare intelligenza ad un obbrobrio è un atto criminale nei confronti della gloriosa bellezza del giardino della nostra mente. L’intelligenza è il frutto della percezione della differenza. Differenza che genera comprensione del mondo. Differenza che alimenta le idee di solidarietà e fantasia. Differenza che si rinforza ogni volta che ci mettiamo allo specchio e liberiamo le nostre emozioni. Se sono una donna carina e mi sento il culo sfondato da enormi peni è possibile che la mia mente perda l’idea di essere madre. Il mio corpo appare in televisione e le mie parole non vengono mai ascoltate. Sono sola in un mondo di solitudine. Sono anche intollerante al latte di mucca, ma grazie a delle pillole posso digerire lo yogurt. Se sono una donna madre dovrò concorrere in real time con memi che si adattano nella struttura emozionale del maschio della società della conoscenza. Memi, o idee, come il calcio, suppliscono al senso di appartenenza ad una grande famiglia, l’obsolescenza programmata dalle corporazioni globali, attraverso il servizio reso dai comunicatori visivi, ci mette in empatia estetica con forme e contenuti costruiti ad hoc per creare la disaffezione con quello che si è appena comprato, e desiderare il nuovo modello dello stesso oggetto accessibile già sul mercato. Ecco perchè cambiano in continuazione i tacchi delle scarpe, i colori delle camicette e la forma dei bottoni. Il desiderio di ornamento naturale dell’essere umano è stato oggetto di un’aggressione mediatica per alimentare il sistema consumistico basato sulla creazione di nuovo denaro e la distruzione di un’originale relazione tra uomo e natura, e tra uomo e uomo. Di fronte ad un nuovo modello di scarpe mi emoziono perchè sono programmato ad emozionarmi di fronte alla novità. E la novità è la differenza che attiva nuove relazioni nel giardino della mente. Se le novità, come una nuova applicazione per il mio computer, arrivano soltanto dall’esterno allora la mia mente alleggerirà le relazioni con le mie intime emozioni. Sarò più logico e razionale. Se sono un laureato in economia e non ho nessun mentore che mi abbia raccontato veramente come funziona la meccanica della moneta moderna, allora vedrò allo specchio un bel ragazzo che abbina l’ultimo jeans e maglietta con le sue vecchie ma comode scarpe fatte a mano. Vive la contraddizione tra l’affetto naturale verso lo studio e l’aggressività richiesta dal mercato per coltivare idee che si devono consumare troppo in fretta. Non ho idea da dove arrivi la cerniera, i bottoni e il cotone dei miei pantaloni, ho un taglio di capelli che assomigli a qualche attore famoso, ricordo a malapena il profumo del pranzo della domenica e ho una fidanzata che non vuole sposarsi mai. Se sono un idraulico di città, quando faccio la doccia, guardo fiero la podestà del mio sesso, e sogno il prossimo buco da tappare. Fidanzate che non vogliono sposarsi tradiscono perchè rassegnate alla violenza della pubblicità, con un cervello capace di angosciarsi per sua propria natura. Dolore e sofferenza passano dallo stesso canale della merda. Se sono un docente universitario di storia delle religioni, ormai in pensione, guardo mio figlio che muore per disattenzione del sistema sanitario e penso che non avrebbe mai voluto insegnare storia delle religioni. Nonostante la globalizzazione porti in seno modelli di standardizzazione a discapito della differenza tra le cose del mondo, stiamo assistendo ad un processo inverso nella società civile. Ogni individuo contribuisce alla rete della diversità della vita con la sua individualità in relazione con la natura e l’uomo. Ci troviamo in un momento in cui in ogni parte del mondo, milioni di persone stanno lavorando per inventare, usare e condividere strumenti, modelli ed idee per cambiare il mondo. «Viviamo in un’epoca in cui il numero di persone che lavorano per un mondo migliore sta per esplodere» ( Alex Steffen, World Changing – Harry N. Abrams, Inc.” (November 1, 2006), p. 22).

Le persone stanche della società dell’ignoranza stanno iniziano a seguire creativamente il proprio elemento interiore. «Il mondo sta cambiando nel modo più veloce che la nostra storia ha conosciuto. La nostra più grande speranza per il futuro è lo sviluppo di un nuovo paradigma delle capacità umane in grado di incontrare la nuova era dell’esistenza umana. Abbiamo bisogno di evolvere un nuovo apprezzamento nel coltivare il talento umano, e con esso una consapevolezza su come il talento esprime se stesso differentemente in ogni individuo». (Ken Robinson, The Element. How finding your passion changes everythings, cit., p. xiii)

Imparando ad ascoltare la realtà dell’anima del mondo e degli uomini. Non ci sono vie d’uscita dalla conclusione che la crescita della popolazione mondiale non può attenersi allo stile di vita dell’Occidente che segue percorsi di sviluppo convenzionali. Il modello consumistico è imploso, è fallito.

La visione egemonica viene considerata concreta e realistica, mentre quella di una società aperta globale rischia di essere accantonata perché utopistica. Consentitemi di dissentire. Ammetto che la visione egemonica sia realistica, nel senso che rappresenta il mondo attuale, ma come obiettivo da raggiungere è più irrealistico e controproducente della società aperta.(George Soros, Globalizzazione. Le responsabilità morali dopo l’11 settembre, Ponte delle Grazie, 2002, p. 149)

Abbiamo bisogno di un nuovo modello di civiltà, di economia, di espressione e di ricerca. Questo nuovo modello si basa su un alfabeto di parole nutrienti per la parte destra del nostro cervello. Amore, Bellezza, Caos, Dio, Empatia, Fantasia, Gioia, Hydrogen, Intelligenza, Lavoro, Morte, Nascita, Oggetto, Passione, Quadro, Rispetto, Spontaneità, Tensione, Urgenza, Vita e Zero sono chiavi che la mente codifica nel rizoma chimico della massa cerebrale. Nascono relazioni logiche ed emozionali, si coltivano antidoti alla violenza, si inizia a percepire la differenza tra il Vecchio Ordine Mondiale e il Nuovo Disordine Mondiale. L’urgenza della cooperazione delle buone idee è data dalla condizione geopolitica vibrante e sempre più abitata da corruzione, aggressività e disaffezione per sé stessi e gli altri. Il Nuovo Disordine Mondiale è governato dalle buone idee che possono viaggiare alla velocità della luce attraverso gli schermi della rete e gli occhi di un libro. Il Disordine non come opposto all’Ordine, ma come sistema caotico differente che impara a riconoscere e interpretare i limiti entro cui l’intero eco-sistema mondo si tiene in vita. Nella storia vi sono innumerevoli esempi di innovazioni tecnologiche che hanno contribuito a trasformare le società umane, ma in generale si può dire che le società si danno soltanto le tecnologie che desiderano o di cui hanno bisogno. «Se gli antichi romani non avevano le locomotive a vapore, i cinesi le carabine e gli aztechi le carriole, è perchè non ne avevano bisogno, non perchè non avessero la capacità di inventarle. […] Non dobbiamo attenderci, quindi, che il progresso tecnologico possa continuare all’infinito con il ritmo attuale. In qualsiasi momento gli investitori e i clienti possono provare un senso di sazietà, e il mondo ripiombare in quella situazione di immobilismo tecnico che, malgrado ciò che è recentemente accaduto in alcune parti del mondo, è stata la regola nella maggior parte dei paesi durante la maggior parte della loro storia».  (Felipe Ernandez Armesto, Millenium, cit., p. 487)

Economia empatica

L’economia empatica nasce dal nuovo alfabeto di parole per coltivare solidarietà e non intolleranza. L’economia empatica riporta il denaro alla funzione originale di scambio con qualcosa che io ho. L’economia empatica è in relazione intima con la geografia e la storia dei territori del mondo. L’idea di economia empatica è figlia di idee che hanno avuto una relazione intima – sesso – tra di loro. «Le tecnologie hanno sicuramente accelerato la frequenza delle invenzioni» (Matt Ridley, When ideas have sex, TED.com, 2010) grazie allo scambio di idee possibile dall’utilizzo di una parte della tecnologia stessa. L’uso della tecnologia da un lato permette di progettare oggetti la cui complessità è incomprensibile dalla singola mente umana e dall’altro conduce ogni singolo individuo a non poter comprendere tutti i livelli che cooperano alla realizzazione di un oggetto tecnologico. I progressi della tecnologia digitale devono essere accessibili, potenzialmente, a tutti. Almeno finché non riusciremo a produrre energia elettrica pulita capace di mantenere in vita il sistema informatico delle telecomunicazioni globali.

L’idea  di dover rincorrere hardware e software sempre più avanzati solo perché esistono sul mercato nuovi prodotti con una potenza superiore è una logica da cui è opportuno sganciarsi, per potere quantomeno riequilibrare le cose. Ciò comporta un’evoluzione dei comportamenti umani e sociali, nonché economici. Lo sviluppo del software libero, come quello basato su piattaforme Linux, ad esempio, fa intravedere una via di sviluppo importante, ed è molto meno di nicchia di quello che si pensi.  (Carlo Infante, Performing Media 1.1, Memori Editore, 2006, p. 72)

Attraverso lo scambio libero di idee informatiche sulla rete internet si è generato un movimento globale – Open Source – che tende a utilizzare le macchine digitali come strumenti che possono realmente aiutare a risolvere i problemi che il mondo interno ed esterno ci pone. L’universo dell’Open Source condivide le parole del nostro alfabeto e permette alle menti dei giovani programmatori di avventurarsi nella selva radiosa della programmazione. Un’esperienza etica ed estetica che riporta alle origini del cervello elettronico e la ricerca del superamento dei limiti logici della singola mente umana. Oggi dobbiamo superare i limiti emozionali per armonizzare il rapporto attualmente distruttivo con le risorse della terra (deforestazione, riscaldamento globale, disastri chimici, cementificazione del territorio) frutto di rapporti deviati tra il sogno e la realtà dell’esistenza umana. Il futuro dell’esistenza umana è in serio pericolo. La soluzione è nel guardarsi dentro e capire che la diversità delle nazioni è disegnata dal territorio dove vivono le persone. Le persone di città iniziano a stancarsi dello stress cittadino e dell’obsolescenza attaccata sugli oggetti che possiede. Molte famiglie, connesse alla rete, stanno riuscendo a scambiare di nuovo le ricette e le sementi. L’intelligenza delle emozioni ha permesso di scambiare la tristezza della vita cittadina con la gioia della vita a contatto con la natura. Il progresso tecnologico attivato da un’intelligenza collettiva collegata alla rete arriva spesso allo stadio più avanzato anche in territori del mondo dove la popolazione è abituata a conoscere esattamente forma e funzione degli oggetti che possiede. Pensateci un attimo. Siamo più portati a risolvere il prossimo Sudoku o a veder nascere, crescere e morire una pianta di pomodoro?  La risposta dipende dalla nostra attitudine.

L’attitudine è la nostra personale prospettiva del nostro essere e delle nostre circostanze – il nostro angolo sulle cose, la nostra disposizione e il nostro punto di vista emozionale. Molte cose interferiscono con la nostra attitudine, incluso il nostro carattere di base, il nostro spirito, la nostra auto stima, la percezione di chi ci sta accanto e le loro aspettative su di noi. Un indicatore interessante sulla nostra attitudine di base è come pensiamo il ruolo della fortuna nelle nostre vite. Persone che amano quello che fanno, spesso si descrivono come fortunate. Persone che pensano di avere successo nella vita spesso dicono di essere state sfortunate. Incidenti e casualità giocano un ruolo fondamentale nella nostra vita. Ma c’è molto di più oltre la fortuna. Chi riesce a realizzarsi condivide attitudini simili, come la perseveranza, il credere in sé stessi, l’ottimismo, l’ambizione e la frustrazione. Come percepiamo le nostre circostanze e come noi creiamo e cogliamo le opportunità dipende in larga misura in cosa ci aspettiamo da noi stessi. (Ken Robinson, The Element. How finding your passion changes everythings, cit., p. 24)Più reale del reale

Sono un informatico con l’amore per l’arte, ho passato negli ultimi vent’anni oltre sessantamila ore di fronte allo schermo del computer per programmare ambienti digitali che possono essere navigati su internet, per leggere ed inviare lettere digitali, per leggere informazioni, guardare conferenze e video, per navigare in ambienti digitali di altri ed essendo stato un single dell’era dell’informazione, non posso negare passaggi su siti “proibiti” sia per curiosità personale sia per lavoro (non è un bel lavoro utilizzare le competenze del design dell’informazione per impaginare carni nude capaci di condurre lo spettatore a schermo a sottoscrivere un abbonamento per avere sempre nuova carne immaginabile fresca e nuda). Quando ho conosciuto il computer negli anni novanta era poco eccitante un cerchio pixelato con al centro altri due cerchiolini concentrici di colore rosa a ricordare il seno. Oggi la qualità dell’immagine trasmessa sui canali televisivi e sugli schermi dei computer è, per dirla con le parole di chi le vende, più reale del reale. Ho scoperto che le immagini sullo schermo agiscono sulla nostra mente esattamente come l’alcol, ovvero, per dirla semplice, generano strutture sinaptiche capaci di modificare la personale percezione del mondo. Non è facile dimenticare immagini proibite, poiché all’azione perturbante della natura dell’immagine si aggiunge la relazione rinforzante del proibito. Rimango sempre sorpreso quando, stabilito un rapporto di fiducia con gli alunni in classe, qualcuno mi mostra orgoglioso il suo proibito digitale: un piccola immagine sullo schermo del cellulare che riprende scene di sesso esplicito e spesso anche con deviazioni innaturali (animali, oggetti dell’industria del sesso, vegetali).

Se la competenza digitale voluta dell’Europa ha portato a fenomeni devianti al sud, forse va ripensata prima di continuare a contribuire alla costruzione di consumatori modello, sotto la protezione delle parole: cittadino attivo. Credo che fino a dodici anni i bambini debbano restare bambini e l’educazione non è un mercato, ma un universo di relazioni, scoperte e passioni anche proibite.

La comunicazione tra esseri umani e calcolatori ha segnato il progresso più importante nella sua recente storia grazie al mouse, che permette all’utente di non fare altro che puntare e cliccare. Con un limitato canale di comunicazione il mouse ha spalancato le finestre per mezzo delle quali si è trasformata l’intera ecologia dei calcolatori. Nel bene o nel male, la selezione naturale ora favorisce le macchine che sono maggiormente in grado di comunicare con i bambini, e i bambini che sono maggiormente in grado di comunicare con  le macchine. (George Dyson, Evoluzione delle macchine. Da Darwin all’intelligenza globale, Cortina Raffaello, 2000, p. 385 – 386)

Ho scoperto il computer a sedici anni, grazie alle prime riviste che arrivavano in paese, con lo stesso alone di proibito delle riviste vietate ai minori di diciotto anni. Da allora se un terzo dalla vita l’ho passato di fronte allo schermo del computer, un terzo per dormire, rimane ancora un terzo di vita dedicato allo studio sui libri e sui quaderni scritti a penna, ma buona parte del terzo di vita da sveglio è ancora abitata da altri schermi come la televisione, il cinema, le insegne pubblicitarie, i cartelloni in strada e gli scaffali del supermercato.

Nella definizione di cittadino attivo c’è un errore di fondo sul concetto di libertà. La mia generazione è cresciuta con l’idea tutta americana che la libertà sta nella scelta. Più scelte posso fare più cresce il senso di libertà. Ho vissuto internet come una frontiera, un’opportunità, ho scelto di conoscere il computer scegliendo di programmare nuove scelte per gli altri (target nel gergo del mercato), ho elevato il tempo di fronte allo schermo interattivo del computer a stile di vita, ho incontrato in internet altre persone con la stessa passione, ho costruito società commerciali, ma non ho mai smesso di dubitare sul senso di quanto ho imparato dei computer.

Cos’è internet per un’adolescente del terzo millennio? Di sicuro non la frontiera proibita della fine degli anni ottanta, ma piuttosto uno spazio pubblico e sociale che si riduce a pochi portali super affollati e notizie diffuse e confuse su tutto (e quindi niente se non si ha una bussola interiore per interpretare il mare magnum dell’hypertesto).

I supermercati assomigliano molto ad internet. Entro da una grande porta (oggi è generalmente è Google o Facebook) e subito inizio ad essere stimolato da immagini lampeggianti, tipografia digitale e un’intera scienza della comunicazione visiva applicata allo schermo interattivo per farmi cliccare e quindi andare su una specifica pagina (design dell’informazione). Peccato che in questi portali ci siano solo link verso le industrie della tecnologia della rappresentazione, l’industria del sesso travestita da social network, l’industria delle vacanze. I portali a schermo sono praticamente le vetrine del corridoio centrale del nostro supermercato. Quando, abbandonato il corridoio centrale entriamo nel mondo dei corridoi a scaffali tematici ecco che il senso dell’errore sull’idea di una libertà di scelta diventa esplicita.

Nel periodo dell’Università ricevevo periodicamente un pacco con dei biscotti fatti a mano (da mamma) e cotti al forno a legna (da papà). Non sto qui a raccontare la poesia dei sapori e dei profumi misti ad amore e sentimenti puri. Di sicuro da qualche anno il pacco non arriva più ed ancora non sono riuscito a trovare i miei biscotti tra gli oltre 700 prodotti che lo scaffale dedicato alla colazione del mattino propone nel più vicino ipermercato (iper è più di super). Sulle scatole ci sono galli, galline, scimmie, facce sorridenti, cascine, uccellini, campi di grano, fiamme, mamme, papà, famiglie, ippopotami, farfalle ed elefanti, lettere e numeri. Sono davvero libero di scegliere? Devo insegnare ai bambini che scegliere è bello? Fare come George W. Bush che subito dopo l’attacco dell’11 settembre 2001 dice nel messaggio alla nazione di… pensateci un attimo. Lo abbiamo visto tutti in televisione. Dice di uscire ed andare a comprare (go shopping).

Più reale del reale per chi aveva appena acquistato i primi megaschermi che sostituivano i vecchi scatoloni del televisore a tubo catodico. Nel messaggio alla nazione, e quindi al mondo, il presidente degli USA avrebbe potuto dire qualunque cosa ma non di certo di andare a comprare. Andare a comprare? E’ questo il cittadino attivo che vogliamo clonare in Europa?

Rispetto ai biscotti ho finalmente optato per farmi dare la ricetta. Tolgo del tempo al Grande Fratello televisivo, ma sto imparando a farli davvero buoni i miei biscotti. Non è forse questa una libertà di scelta più sensata e sostenibile. La vita non è un ipermercato.

«Il progresso è sempre molto importante ed eccitante tranne che per il cibo. Quando chiedi un arancio, non vorresti sentirti rispondere: “Arancio? No, non abbiamo niente di arancio”». (Andy Warol, La filosofia di Andy Warol, Costa&Nolan, 1982, p. 130)

I computer non servono ai bambini

Grazie all’elettronica digitale gli studenti sfornano risposte senza elaborare concetti: la soluzione di problemi diventa la pressione dei tasti. I computer non servono ai bambini, i computer servono agli insegnanti, il computer può essere visto come un’estensione della mente – per dirla alla McLuhan – dove la parola estensione significa amplificazione di attività umane.

«Pensate alle cose di cui hanno più bisogno i bambini di tre anni: amore, affetto, attenzione, calore umano e cure. A quattro cinque anni cominciano a svilupparsi le competenze sociali – come avere a che fare con gli altri. Devono giocare con la realtà, non con le immagini. Eppure troverete computer in quasi tutti gli asili. Figuratevi un pò come andranno le cose.». (Clifford Stoll, Confessioni di un eretico high-tech. Perché i computer nelle scuole non funzionano, cit., p. 60)

Per meglio intenderla, la ruota è un’estensione del piede, il libro un’estensione della vista, la zappa, martello, pennello un’estensione della mano. In questo senso l’estensione amplifica le azioni del corpo dell’essere umano. Con l’epoca digitale, post elettrica, i computer sono diventati amplificatori della mente umana. Il computer non amplifica nessuna facoltà del corpo umano, ma estende la mente umana. Le idee umane assomigliano davvero agli schermi del computer? Internet con oltre un miliardo di persone connesse sta disegnando una mappa psicologica dell’umanità. Una parte dell’umanità, quella seduta comodamente, drogata dal computer e dalla velocità di trasmissione delle idee, che vive schiacciando tasti e muovendo un cursore o con la mano destra o con quella sinistra. Purtroppo la psicologia contemporanea ha preso la deriva commerciale, e quanto scoperto sulla mente negli ultimi anni, grazie all’amplificazione indotta dai computer e la conseguente accelerazione nella conoscenza specifica, approda nella definizione errata di libertà nella scelta – quella da attuarsi secondo le regole del consumismo globale. Il 2010 è l’anno dei mondiali in Africa, un evento planetario che spera di cambiare le sorti di un continente con un’iniezione di consumismo. Ne siamo sicuri? In casa ho un videoproiettore con sistema dolby surround 5.1 per guardare un film in una serata d’inverno e un televisore di 11 pollici in bianco e nero con cui al mattino mi sintonizzo per ascoltare la lettura dei giornali. Un uso più radiofonico che prettamente televisivo del teleschermo orwelliano. Il Grande Fratello conosciuto finora da docenti e dirigenti è quello del 1984 di Orwell: il teleschermo che ti osserva, ma non è più così. 

«Il Grande Fratello non ci osserva. Il Grande Fratello canta e balla. Tira fuori conigli dal cappello. Il Grande Fratello si dà da fare per tenere viva la tua attenzione in ogni singolo istante di veglia. Fa in modo che tu possa sempre distrarti. Che sia completamente assorbito». (Palahniuk Chuck, Ninna Nanna, Mondadori, 2005, p. 28)

Il nuovo Grande Fratello abita in tutte le case, quelle dei docenti e quelle degli alunni. Anzi i teleschermi piatti comprati a rate abitano più stanze di una stessa casa. Il risultato è uno stato fisico e mentale che viene costantemente massaggiato da messaggi orientati al consumo, all’obsolescenza delle cose che compriamo, al confronto sessuale su parametri puramente estetici e non etici, a inversioni di percezioni della scuola da luogo della formazione, della conoscenza, della sperimentazione e del gioco a fabbrica di cittadini attivi dove i giovani insegnanti pensano all’amore, all’apparenza, alla superficialità virtuale indotta dal teleschermo. Fenomeni di innocente normalità televisiva, come indossare un tanga sopra il pantalone possono generare derive percettive negli adolescenti. La scuola come mercato impone competizione (che quando è sana fa bene) e poca cooperazione (nel senso di relazione umana orientata ad imparare).

«Apprendere non è semplicemente acquisire informazioni, massimizzare l’efficienza o il godimento. Imparare riguarda lo sviluppo delle capacità umane. Trasformare lo studio in divertimento è svilire le due più importanti cose che noi uomini possiamo fare: insegnare e imparare». (Clifford Stoll, Confessioni di un eretico high-tech. Perché i computer nelle scuole non funzionano, cit., p. 26 )

In questo contesto la giovane e bella insegnante non ha sviluppato un’educazione profonda al senso dello studio e della conoscenza, è vittima degli schermi, li vive e li insegna male. Poi finisce su YouTube con il culo di fuori e tutti la demonizzano come una strega. Era semplicemente una bella e giovane insegnante frustrata, non un mostro, forse è entrata in classe perchè non aveva scelta, e le piace apparire ed essere sexy anche a scuola, come se fosse sotto l’ombrellone, forse l’alternativa era fare la cassiera del vicino ipermercato. Ma dove avrà imparato ad essere sexy la nostra bella insegnante? Cinquant’anni fa quando in Italia arrivava la televisione, la scuola era entrata negli schermi. Oggi siamo all’opposto. La televisione è il modello per la scuola. Un modello multidimensionale capace di definire modelli di business sulla pelle degli studenti, capace di pensare l’educazione come un’attivazione, sin da bambino, del senso del consumo, del potere del denaro, della selezione estetica. Un modello costruito sull’informazione, sulla produzione di dati elaborabili solo da computer, sulla conoscenza intesa come specializzazione estrema, sulla vita definita come scambio di merci tra produttore e consumatore. Siamo quello che compriamo.

Insegnare a comprare

Nella scuola dell’obbligo si obbligano le famiglie a comprare tanti libri, tante penne, tanti colori, tanti quaderni, tante carte. Non è una buona idea per il mercato imparare che da arbusti e foglie si può fare la carta. Che con la terra, i fiori e le cortecce si possono fare i colori, che con le ali del pollo si possono fare le penne, che con le ossa di seppia si può disegnare sulla sabbia. Non è una buona idea sapere che i numeri sono magici, che i numeri sono utili e divertenti, ci sono tanti 7, non un simbolo sullo schermo. Imparare la matematica non è schiacciare tasti sulla nuovissima calcolatrice scientifica. Il numero parla, interagisce con il matematico, gioca con la fantasia, insegna le relazioni del mondo, apre la mente alla scienza, al progresso. Non al mercato.

Non è una buona idea imparare poesie a memoria, tanto ce le legge il computer e sono libero di scegliere anche la voce del mio cantante preferito per la declamazione. Meno memoria si ha, meno problemi ti crei, più diventi un buon consumatore di cose altre. Siamo quello compriamo. Non importa se il teorema di Pitagora si può dimostrare con il disegno geometrico, senza usare numeri.

«Negli anni Sessanta, fu fatta la proposta di irradiare come messaggi nello spazio, verso eventuali civiltà aliene, il teorema di Pitagora, o, “triplette pitagoriche” di numeri che formano triangoli rettangoli, nella speranza che esseri intelligenti in altri sistemi stellari, ricevendo tali segnali, possano rendersi conto che sulla Terra ci sono forme di vita intelligenti». (Kitty Ferguson, La musica di Pitagora, La Biblioteca delle Scienze, 2010, pp. 346 – 347)

Basta saper premere i tasti giusti e lasciarsi emozionare dalla scatola di biscotti più “bella”. Il cittadino attivo sa quali dati inserire sul computer, ma non ha nessuna idea del processo che gli restituisce altri dati in uscita. Se il computer estende la mente umana, allora la mente umana estende il computer. E così sta succedendo. La scuola si sta impegnando a sfornare sempre più menti che per vivere devono rimanere connesse al computer.

In questo senso l’Università e le Accademie italiane stanno facendo un buon lavoro producendo possibili docenti che invece di sentirsi liberi di scegliere secondo la propria passione, hanno maturato una frustrazione dovuta sia alla iper abbondanza di scelte che la società del consumo ha generato, sia alla iper competitività estetica che seleziona belle studentesse per un lavoro in reception o da inviato speciale (nel migliore dei casi). Se va male c’è sempre la cassa del supermercato.

Ma questo è sistema recente! L’ipermercato vicino casa è sorto non più di otto anni fa, mentre la ricetta dei biscotti si perde nella notte dei tempi. E se non la insegno a qualcuno sarà dimenticata per sempre. Quella era la mia ricetta!

Il sistema della libertà di scelta è in crisi. Così come il modello consumistico disegnato alla fine dell’Ottocento da pochi illuminati che avevano nella testa le meccaniche celesti, orologi e campane.

Un bambino a scuola non può avere insegnanti in crisi e frustrati. è contro la natura della loro età. Sono spugne che si guardano intorno con grandi occhi, si guardano dentro con curiosità, si mettono in relazione intima senza pre-pensiero, rispondono sempre alle domande, a volte sbagliano, a volte ci azzeccano, a volte dicono qualcosa di assurdo. «Essere professore è un modo di vita, uno stato mentale e fisico, che richiede buona salute per resistere agli attacchi verbali quotidiani in ogni classe» ( Laurent Cantet, La classe – Entre les murs, DVD, 2008). Se per le nuove generazioni di professori la scuola è percepita come un posto in cui trovare lo stipendio nel momento della crisi, allora entra in crisi anche la libertà di scelta. Voglio davvero fare il professore? o non ho altra scelta e mi arrangio con quello che guadagno. Uno stipendio che non basta mai perchè il Grande Fratello agisce intimamente sui nostri desideri e li orienta. Si cambiano costantemente vestiti, scarpe, telefonini, televisori, computer e automobile per riempire il vuoto etico ed estetico provocato dall’esposizione agli schermi.

L’idea che si possa insegnare senza difficoltà deriva da una rappresentazione idealizzata dello studente. Il buon senso pedagogico dovrebbe rappresentarci il somaro come lo studente più normale che ci sia: quello che giustifica perennemente la funzione di insegnante poiché abbiamo tutto da insegnargli, a cominciare dalla necessità stessa di imparare! ( Daniel Pennac, Diario di Scuola, Feltrinelli, 2008, p. 218)

Ha ragione Pennac a sottolineare la tendenza di scaricare sugli alunni la loro iper attività, latenza di attenzione, incapacità a relazionarsi, disattenzione verso l’ambiente, basso livello motivazionale perchè è il senso svelato dello stato del docente, non dell’alunno.

Come instillare nei nuovi insegnati la necessità stessa di imparare? Ma imparare cosa? Avrebbero dovuto imparare ad imparare negli studi universitari e nei master ma continuano ad essere frustrati, perché? C’è una soluzione facile? Anzi c’è una soluzione che possa aumentare i fatturati delle industrie della tecnologia della rappresentazione, delle industrie farmaceutiche e delle industrie del divertimento e del sesso?

Sembra di si. I computer nelle scuole. L’Europa ha istituito i piani di informatizzazione nelle scuole primarie nel 2000, ma non ha valutato i rischi dello sperimentare con i bambini processi orientati al consumismo. Se sei un genio si vede già da bambino, i computer non hanno nulla a che fare con l’istinto e la natura dell’essere umano nella sua necessità di progettare il futuro su un pianeta limitato che non potrà continuare a rispondere all’infinito alle nostre esose richieste di energie vitali.

«Mio figlio, che ha sette anni, vive già in un ambiente digitale non lineare. Passa più tempo al computer e con i videogiochi di quanto non ne passi davanti alla televisione, quindi sarà educato a voler vivere in un mondo più granulare, interattivo, a richiesta». (John Brockman, Digerati. Dialoghi con gli artefici della nuova frontiera elttronica, Garzanti, 1997, p. 179)

Entrare in una classe di bambini dai dieci ai dodici anni significa immergersi in un caos di emozioni, in un’instabile vociare, in una struttura antica come le mura di una classe, in un turbinio di colori stagionali e segrete relazioni di empatia o antipatia. Ricordo quando ero bambino e il mondo era tutto più grande, e gli adulti sapevano sempre tutto. O almeno sono stato fortunato ad incontrare persone capaci di rispondere alle domande adolescenziali, anche quelle più assurde. Il mondo va scoperto con il corpo, non con la mente connessa allo schermo del computer e le mani su mouse e tastiera. Sono strumenti eccellenti da utilizzare all’Università, quando la libertà di scelta ti pone di fronte a direzioni fondamentali per la tua vita, prossima futura. Il modello della fabbrica e del consumismo prevede una produzione continua di rifiuti. Affinché questo possa succedere è necessario che i prodotti vengano consumati. Quando i prodotti richiedono impianti considerevoli, con consapevoli danni per l’ambiente e la salute delle persone, come ad esempio la produzione dell’acciaio e dell’energia elettrica, la scelta del posto dove installarli diventa cruciale. Ci vuole una buona dose di spirito d’iniziativa e imprenditorialità per poter fare la scelta giusta.

Tutte le disgrazie conosciute nella storia che una volta si era soliti considerare opera del Signore, dopo un certo tempo, venivano dimenticate. Le ferite inferte guarivano nel corso degli anni. Ed è proprio questo che non si verifica più per le opere dell’uomo. Perchè, infatti, le panne e gli incidenti in uno stabilimento chimico, in un laboratorio di biologia o in una centrale nucleare, provocano in certe circostanze qualcosa di più di un danno momentaneo. Forse anche le future generazioni dovranno subirne le conseguenze. Tali catastrofi distruggono non solo il presente, ma anche il futuro. (Robert Jungk, Lo stato atomico, Einaudi, 1978, p. 43)

Lo stato atomico di Jungk (1977) racconta la storia di una grande scelta che il governo americano ha dovuto compiere agli inizi del novecento. Dove installare i nuovissimi laboratori di ricerca atomica?

Per affacciarsi su questo nuovissimo mondo – quello atomico – bisogna allontanarsi dai centri urbani ed esulare nei sobborghi, dove il lavoro ha preso il sopravvento sulla vita e l’esistenza umana del singolo vien sempre più costretta nell’uniformità della standardizzazione. I punti vitali di questi nuclei isolati – i ricercatori – non sono più la chiesa, la scuola e il municipio, bensì i centri di produzione e consumo, la fabbrica e il supermarket. (Robert Jungk, Il futuro è già cominciato, Einaudi, 1963, p. 16)

Pensando da imprenditore posso tranquillamente giocare con la geografia spirituale di un territorio e scoprire che nel Nuovo Messico c’è una popolazione che racconta dell’avvento del Grande Sole. Perfetto. E’ un buon posto da far saltare in aria con i nuovissimi esperimenti atomici. E’ questo lo spirito imprenditoriale da instillare nei bambini come chiede l’Europa? Sono questi i modelli mentali da utilizzare per fare la scelta giusta?

Sogni di bambino

Per essere davvero felice un essere umano deve aver realizzato i sogni da bambino. Non c’è schermo o teleschermo che riesca a invertire questa naturale connessione con la natura dell’essere umano. Specialmente quella delle donne. Eppure sembra che il sistema consumistico stia snaturando la natura dell’essere umano puntando – strategicamente  – sulla biologia della femmina della specie homo sapiens sapiens.

La mia generazione, quella del dopoguerra, è cresciuta in un’epoca in cui la donna era trattata come una bambina e come una proprietà. Era tenuta come un giardino incolto… La danza era appena tollerata, forse, e perciò danzavano nella foresta, là dove nessuno poteva vederle, o nel seminterrato, o mentre andavano a buttare la spazzatura. L’ornamento della persona suscitava sospetto. Un corpo felice o un vestito accrescevano il pericolo di subire un torto o di venire aggredite sessualmente. Così, come tante donne prima e dopo di me, ho vissuto la mia vita come una creatura travestita. Come amiche e parenti prima di me, mi sono pavoneggiata su tacchi a spillo e ho indossato l’abito buono e il cappello per andare in chiesa.(Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono con i lupi, Feltrinelli, 1993, pp. xiii – xiv)

Il sistema capitalistico è fortemente spinto da energie creative maschili. Basti pensare ai centri dell’imprenditoria delle grandi metropoli planetarie. Una serie di architetture falliche. Anche il Cupolone di Roma sembra stia per essere rimpiazzato da un’architettura urbana capace di dire noi imprenditori lo abbiamo più lungo di voi. Il grattacielo s’intende. Le donne sono merce per soddisfare piaceri antichi come l’amore. E intanto la dimensione umana della famiglia si sfascia. Ma i bambini possono davvero soddisfare il non amore della mamma e del papà con una connessione ad internet e la promessa di un giro al lunapark o al supermercato? «secondo la Società italiana di pediatria, oltre il 50 per cento dei ragazzi tra i 12 e i 14 anni è iscritto a Facebook. Il 39 per cento dei ragazzi e il 43 delle ragazze ha ricevuto da uno sconosciuto la richiesta del numero di telefono, e il 13 per cento ha detto di sì. Il 31 per cento poi, parla di sesso sul web» (Cristina Lacava, Confesso che ho spiato (mia figlia su Facebook), sul Corriere della Sera del 10 giugno 2010).

Evidentemente no. La scuola computerizzata ha fallito, e continua a fallire con l’educazione delle nuove generazione. è consapevole di questo la classe dirigente? Quale espressione culturale è possibile in un territorio in cui si muore di cancro oggi per le scelte imprenditoriali di cinquant’anni fa, dove la Puglia fu ritenuta un posto di fessi e buoni (ben educati cattolicamente) che avrebbero abboccato al senso di innovazione e progresso, già servito nei sussidiari delle elementari che elogiavano i processi di produzione industriale. Peccato, che non c’era traccia dei danni della diossina e delle nanoparticelle. D’altronde ad essere veramente consapevoli dei danni dell’industria dell’acciaio a Taranto e di quelli della chimica a carbone a Brindisi, sono i Salentini, che grazie alla tramontana ed un territorio pianeggiante sta scalando tutte le classifiche mondiali per l’incidenza dei morti di cancro rispetto alla popolazione ancora sana. Questa è la consapevolezza più pressante del presente territorio. Adesso, che penso di aver concluso questa relazione, sto ascoltando della disco music che proviene dal parco di fronte casa. C’è il luna park in questi giorni. è finita la scuola, i bambini possono continuare ad essere tenuti svegli con luci e suoni. Adesso, questo documento scritto con un programma di Word Processing, di fronte ad una finestra sul parco, lo pubblico su internet.

A settembre, durante un corso di computer, un bambino lo trova, lo legge, magari ci capisce qualcosa, ma pensiamo che possa avere proprio la stessa consapevolezza del senso delle mie parole solo perchè è stato in grado di trovarlo su internet e fare copia e incolla? Sono convinto che per il bambino, dopo aver formattato un bel documentino, scegliendo il carattere tra qualche decina di font, il prossimo pensiero per lui è se la ruota della bicicletta è ben gonfia.

Bolle

I cittadini del futuro stanno crescendo in un sistema scolastico fondato sulle diverse discipline che compongono la nostra cultura, ma che paradossalmente vede ancora come un figlio indesiderato il sentimento di un rapporto inter disciplinare. Internet può trasformare radicalmente lo status quo dell’educazione. La rete delle reti sta mettendo in connessione bidirezionale diverse culture a partire dal basso, dalle connessioni tra individui diversi, paesi e culture diverse che possono far saltare l’apatia indotta dai mass-media. In futuro credo che la nostra sopravvivenza sia più legata alla capacità di adattarsi alla convivenza tra culture che non all’istinto della sopraffazione. Ambientarsi nella società della rete significa prima di tutto porsi con umiltà ed impegno nel cercare di comprendere la modificazione di questi assetti psicologici e cognitivi. Allora sarà possibile occuparsi di armonizzare il thesaurus delle nostre conoscenze con i sistemi della comunicazione interattiva senza preoccuparsi di ciò che c’è da perdere nel passaggio da un paradigma cognitivo ad un altro. Si tratta di trovare il modo più efficace per trattare delle nuove forme di partecipazione in stretta correlazione con il sistema educativo, un elemento determinante perché gli studenti di oggi sono, a tutti gli effetti, protagonisti della società in divenire. Ma le nuove tecnologie si sono evolute in maniera differente nelle diverse parti del mondo. Nel ventunesimo secolo viviamo una realtà che eredita la frantumazione socio culturale della rivoluzione industriale. Fenomeni come i flussi migratori e la comunicazione automatizzata stanno generando una società che ha a disposizione le più avanzate tecnologie ma abita un pianeta fortemente minato nel suo equilibrio ecologico. La società della rete è oggi composta da oltre un miliardo di persone, un settimo della popolazione mondiale. Vivere la società della rete significa rapportarsi con una percezione della località completamente nuova. La dimensione della comunicazione interpersonale esplora i campi dei grandi numeri, ai quali ci siamo rapportati solo di recente. Ricordiamo i grandi condottieri che univano eserciti di milioni di persone, o i dittatori che ne sottomettono altrettante, o le religioni che uniscono sotto un credo – meme. La società post tecnologica vede da un lato quasi sette miliardi di persone che continuano ad avere una percezione locale della comunicazione interpersonale e un miliardo e mezzo di connessi che percepiscono la comunità di internet come il nuovo mondo da abitare con il proprio tempo.

«Condizioni di vita certe e sicure sono cose che non si possono comprare attingendo al proprio conto in banca, ma la sicurezza del luogo in cui si vive invece sì, a patto che il conto sia sufficientemente cospicuo, e quello dei “giramondo” di norma lo è. I cosmopoliti possono permettersi l’equivalente della houte couture nel campo della sicurezza. Tutti gli altri, non meno tormentati dall’oppressiva sensazione dell’insopportabile volatilità del mondo e, tuttavia, essi stessi non abbastanza mobili da cavalcare le onde, dispongono solitamente di minori risorse e devono accontentarsi delle copie dozzinali dei modelli di alta moda. Ancor meno, in pratica quasi nulla, possono fare per mitigare l’incertezza del mondo in cui vivono, ma possono investire fino all’ultimo soldo nella sicurezza del loro corpo, delle loro proprietà, delle loro strade. […] Ciò che cercano è l’equivalente di un rifugio antiatomico personale, un rifugio che chiamano comunità». Zygmunt Bauman, Voglia di comunità, p. 110

E, come in ogni nuovo mondo, c’è sempre chi arriva prima e chi arriva dopo.

Entrare in internet adesso è come tuffarsi in mare da un solo trampolino chiamato Google. I siti di informazione soddisfano i nostri desideri di conoscenza ad  una velocità tale da far assottigliare il nervo che unisce pensiero ed azione. Dalla prima generazione di connessi è emerso un forte individualismo che una volta caratterizzava solo scienziati ed artisti ma che si è diffuso a macchia d’olio scorrendo tra i cavi elettrici dei computer collegati alla rete. L’individualismo ha messo in corto circuito il senso di località frantumando le tradizioni localizzate e ricomponendo il puzzle sociale e culturale in un mondo onirico, ovvero la rete. Qui sono rinate in forma digitale tutte le espressioni della realtà fisica e sensoriale che appartengono alla sfera del comunicare. Parole, immagini e suoni ma anche pensieri in forma  di algoritmi e matematiche. Insomma, la necessità di comunicare è ben presto diventata bisogno indotto dalla macchina. Ma questa volta non c’è un condottiero, un dittatore o una fede, c’è soltanto una mente più ampia, una miriade di connessioni sinaptiche che si accendono e aprono le porte della visione globale del mondo. E il mondo ha bisogno di attenzione. In questo nuovo mondo, o galassia internet, sono state rimediate economie, politiche, scienze ed arti in forma di bolle di comunicazione automatizzata fluttuanti a qualche metro dalla superficie terrestre, a volte sopra a volte sotto. Queste bolle in dimensioni diverse sono apparse in tutto il mondo rilasciando nuove passioni e sentimenti che viaggiano nel mare del web.

 

— Un’estratto di questo testo è stato pubblicato sulla rivista MyMedia nel 2011