dal dattiloscritto “Vite superflue” titolo poi divenuto “Gli amorosi sensi”
Ogni anno puntualmente torna il Convegno sulla Magna Grecia, che come giusto, si tiene a Taranto, città dal glorioso passato, sebbene oramai stravolta dall’industrializzazione.
Incredibile il successo di questi convegni che indagano sul passato illustre di città come Taranto e Lecce. Pasolini, nel dopoguerra, si dichiarava colpito da questo atteggiamento degli intellettuali meridionali, come Scotellaro, Bodini, Pierro, tutto rivolto al recupero delle antiche tradizioni e all’esplorazione della civiltà contadina.
Se Pasolini potesse gettare uno sguardo sul Salento di oggi, si accorgerebbe che questo atteggiamento non è poi mutato. Passi per Lecce, che è rimasta più o meno tale e quale, ma Taranto? Qui un mostro che si chiamava fino a qualche tempo fa Italsider, e oggi Ilva, ha cancellato persino i lineamenti del vecchio paesaggio agricolo, con le sue casette di calce sparse in mezzo alle distese di campi e di oliveti. Chilometri e chilometri quadrati di terra sottratta all’agricoltura e trasformati di colpo nell’acciaieria più grande d’Europa, una foresta di ciminiere che sputano notte e giorno vapori e fumi nel cielo livido e lattiginoso. Migliaia di contadini trasformati in operai, manovali, specializzati , sindacalisti senza avere il tempo di assimilarsi a una cultura industriale e operaia.
Partono all’alba, a volte di notte, sui trenini locali e sulle corriere, molti hanno ancora il cestino che usavano quando si recavano in campagna, per metterci dentro la colazione, una cicoria e una fetta di puccia, (il pane fatto a casa). Tempo fa un operaio addetto alla fornace, mentre transitava su una passerella ha messo un piede in fallo ed è scivolato nella colata. Un compagno dice di aver fatto in tempo a vedere solo poche bollicine. Un altro ha visto una nuvoletta e nient’altro.
La moglie si presenta alla direzione per reclamare il proprio marito. Un giovane dirigente le ha risposto con un certo imbarazzo che non era possibile al momento estrarre alcunché, data l’altissima temperatura. Occorreva aspettare quanto meno che la colata si raffreddasse. Dopo qualche giorno, la donna è tornata alla carica. Il giovane dirigente le ha spiegato che all’interno della fornace non era stata trovata traccia del corpo del marito in quanto si era completamente disintegrato.
Passati alcuni giorni, la donna si ripresenta al dirigente per dirgli che un suo conoscente molto istruito le aveva spiegato che in natura nulla si crea e nulla si distrugge, per cui il corpo del suo povero marito doveva trovarsi da qualche parte.
- Dove?- ha quasi urlato il dirigente ormai sull’orlo di una crisi nervosa-
- Non lo so- ha risposto la donna – potrebbe essere in un tubo o in una maniglia. Occorre solo cercare.
A questo punto il dirigente non ne ha potuto più e le ha detto chiaro e tondo che il corpo di suo marito era diventato luce, solo luce. Si può afferrare la luce?
Negli occhi della donna è passato un orrore di millenni, tutta la civiltà contadina con i suoi riti, l’ideologia funeraria antica con il suo insopprimibile bisogno di un corpo su cui versare lacrime e a cui indirizzare vecchie lamentazioni non ancora del tutto dimenticate. Un po’ di tutto questo e altro ancora è passato negli occhi della donna, mentre quel dirigente la fissavano, vuoti.
Una volta, nel tempo di guerra, in simili casi si usava riempire una cassetta con dei sassi, sopra si scriveva il nome del caduto e la si consegnava ai parenti, perché avessero qualcosa da seppellire e su cui versare lacrime.
Ma il dirigente era troppo giovane per sapere queste cose.
Alla fine la donna se n’è andata via senza il cadavere del suo uomo, senza protestare e senza lacrime, proprio come il giovane dirigente si aspettava da lei.