Degrado
19 febbraio 2013
Quando le cose vanno male è più che 'normale' cercare un colpevole. Ma anche questa ricerca non è priva di rischi. Anzi. Il più serio non è quello di sbagliare colpevole, ma quello di trovare il vero colpevole e scoprire che non c'è né la voglia né le forze per mettere riparo e che, ad essere onesti fino in fondo, chi deve porre riparo è figlio di quella colpa. Vi ricordate di qualcuno che non lanciasse vituperi nei confronti del sistema elettorale detto 'porcellum' dal politologo Giovanni Sartori? Persino il suo 'inventore', un cervellone padano della prima fila delle camicie verdi, avrebbe appellato la sua creatura “una porcata”. Orbene, chi avrebbe dovuto cancellare la suddetta porcata? Proprio i parlamentari eletti con quella porcata! E, infatti, fra qualche giorno voteremo col sistema 'porcellum', o porcata che dir si voglia. Qualcuno ha tentato qualche forma di correzione a quello che era stato presentato come il male peggiore: la scelta da parte delle segreterie dei partiti di chi sarebbe entrato alla Camera e al Senato e, quindi, la corrispondente espropriazione del diritto degli elettori a scegliere i propri candidati. Il Centrosinistra s'è impegnato nelle primarie e il Movimento Cinque Stelle ha messo in campo le parlamentarie in modo da individuare i candidati o una parte dei candidati. Tentativi apprezzabili rispetto all'ignavia degli altri protagonisti della politica italiana, ma evidentemente parziali, circoscritti e soprattutto minati da un inevitabile paradosso: i candidati che avrebbero dovuto essere scelti da tutti gli elettori per le primarie e parlamentarie erano votati da iscritti e simpatizzanti dello stesso partito o movimento di appartenenza. Una finta apertura, allora? Peggio. Una selezione basata sul principio di Peter, noto anche come principio di incompetenza, formulato nel 1969 dallo psicologo canadese L. J. Peter che dice: in una struttura gerarchica, ogni dipendente tende a salire di grado fino al proprio livello di incompetenza. Guardate i candidati dei vostri collegi, troverete funzionari di partito, assessori e consiglieri comunali, provinciali e regionali che, ammesso godessero di qualche competenza nel vecchio ruolo, di sicuro in quello di parlamentare si troveranno a disagio. Meglio dei nominati dalle segreterie dei partiti o dai padroni col porcellum, direte voi. Ma, e qui voglio shockarvi, secondo uno studio pubblicato sul numero di gennaio u.s. de Le scienze alle pp.86-91, col titolo L'efficienza del caso, realizzato da un gruppo di scienziati “Il caso è importante anche in democrazia. Se, per esempio, alcuni parlamentari fossero estratti a sorte, l'efficienza del Parlamento aumenterebbe.”. Gli autori, due fisici teorici, Pluchino e Rapisarda; un sociologo, Garofalo; un esperto di economia istituzionale, Spangano e un docente di economia politica dell'Università di Catania Maurizio Caserta oltre ad illustrare le ragioni della loro ricerca, forniscono anche una semplicissima formula aurea utile a calcolare il numero dei parlamentari che dovrebbero essere scelti per sorteggio Nind in un Parlamento di N parlamentari. La formula mette in relazione il numero dei parlamentari estratti a sorte con la percentuale di voti ottenuta dal partito o dalla coalizione di maggioranza. Ad esempio, in un Parlamento di 500 parlamentari, se il partito di maggioranza ottiene il 51% gli estratti a sorte dovrebbero essere 20. Con la maggioranza al 60% dovrebbero diventare 140; se la maggioranza raggiunge il 70% i sorteggiati dovrebbero raggiungere il 220. Alla proposta viene anche fornita una base storica: “Studiando il problema, ci siamo resi conto che l'idea della selezione casuale del decisore pubblico o degli organi di governo non era affatto nuova, ma che anzi affondava addirittura le radici nella tradizione culturale di chi la democrazia l'ha <<inventata>>: l'antica Grecia. Ad Atene, i componenti dell'assemblea chiamati a prendere decisioni collettive non erano eletti, ma sorteggiati.”. Se guardiamo ai disastri provocati nella Grecia e nell'Italia di oggi dal sistema elettivo, dobbiamo prendere atto che l'introduzione del sorteggio potrebbe essere una cura omeopatica al caos elettorale. Iniettare il caos istituzionalizzato (sorteggio), al caos elettorale (porcellum) servirebbe anche ad evitare il dissanguamento finanziario, da recuperare poi con gl'interessi nel corso del mandato, per un notevole numero di parlamentari. Se la politica è un servizio alla società non può riguardare solamente chi vuole candidarsi e può essere candidato dalle segreterie dei partiti, deve riguardare anche chi non vuole candidarsi, magari perché è schifato dal malaffare che galleggia nelle stanze del potere. Una proposta utopistica? Sicuramente. Ma, come ci ricordano gli autori dello studio, il sorteggio è alla base della costituzione delle giurie popolari dei processi e ad una proposta della socialista Ségolène Royal. E, a pensarci bene, le parlamentarie di Grillo, alla fine possono essere intepretate come un sorteggio mascherato da pre – elezione. Di una cosa , cari lettori potete essere certi: se dobbiamo evitare la cacciata dei “cialtroni” col sistema dei forconi, col sistema del sorteggio le probabilità che venissero fuori i trota, cioè i figli dei Bossi o le amichette del Berlusca sarebbero vicine allo zero. E vi sembra poco?
Tempi duri per gatti cani e precari.
16 febbraio 2013
Il problema, dunque, è chiaro: se i ricchi vogliono trasformare il potere economico finanziario in potere politico devono necessariamente acquistare/conquistare il consenso delle persone della classe media e anche quello dei disgraziati. E, paradossalmente, il consenso dei disgraziati è più disponibile e più facile da comprare.
Le ragioni sono evidenti anche ai ciechi. Chi è povero non ha solamente il portafogli vuoto, ma anche la pancia e la testa. Il cuore no. Il cuore è (sarebbe) ricco di buoni sentimenti. Una balla pure questa. Il problema è allora capire quanti sono in vendita e possono essere comprati con denaro contante, con promesse di un posto di lavoro, di un condono tombale, di affari loschi ecc.
Io ho fiducia che le cose cambieranno. Ho fiducia perché il pifferaio magico è diventato un piffero stonato; il professore è stato risucchiato nella rissa dei Casini e, soprattutto, perché il fondo del barile è lucido a furia di grattare anche gli spiccioli. E poi la macchina dello stato anche se è una ferraglia arrugginita, ma continua a stritolare i più deboli. Volete sapere l’ultima? I precari della scuola, non gli amministratori delle grandi aziende, né deputati e senatori e nemmeno presidenti di regioni, prenderanno il loro miserabile stipendio due mesi dopo la loro ‘nobile’ prestazione didattico - educativa. Se anche un solo precario andrà a votare per i suoi aguzzini, mi sentirò autorizzato a sputarlo in un occhio. I bravi professori del governo si sono forse preoccupati di far slittare le rate dei mutui dei disgraziati, i pagamenti degli affitti di casa, il costo dell’asilo?
Hanno anticipato i soldi per la benzina necessaria per raggiungere le scuole sgarrupate di questo infelice e sfortunato paese? Una decisione che butta nella disperazione migliaia di famiglie avrebbe richiesto almeno le dimissioni del ministro della pubblica distruzione. Ma qui si dimette solo il Papa, ma perché fa parte di uno stato estero. Gli altri se non li metti in galera non si staccano dalla poltrona. Il malvagio Crozza ci ha informati sui consigli d’amministrazione che frequenta uno dei grandi sostenitori di Monti, il buon Montezemolo. Meraviglia che il saggio professore sia convinto che l’Italia non si rimette in carreggiata senza la collaborazione degli imprenditori, ma dimentichi facilmente che senza i lavoratori non si muove neanche il trenino del suo nipotino. Insomma sono convinto che le cose cambieranno col voto dell’altra settimana. Non solamente non c’è trippa per gatti, ma anche gli ossicini per cani sono spariti.
La fetta di mortadella
6 febbraio 2013
Comprare voti non è solo reato è anche un modo per umiliare le persone e degradarle da cittadini a sudditi, da liberi a schiavi. Non si dovrebbe fare, ma si fa. Ai tempi di mio padre le modalità di compra-vendita dei voti erano una decina.
La più comune era la distribuzione di derrate alimentari: Formaggio, pacchi pasta, bottiglie di vermouth.
Il ricatto religioso per le persone più anziane si limitava alla minaccia d’inimmaginabili torture infernali. Per chi aveva figli con l’ambizione di arruolarsi nell’arma dei carabinieri o tentare un concorso per entrare in un ufficio statale risultava di grande efficacia la sottolineatura che oltre alle informazioni del comandante della stazione dell’arma, quelle del parroco erano indispensabili e decisive. I mascherati della Confraternita facevano circolare la voce che erano disponibili una ventina di loculi nella cappella centrale e nelle prime quattro file.
Poi c’erano i latifondisti che distribuivano qualche contributo ai branccianti per l’iscrizione agli elenchi anagrafici che significava assistenza medica gratuita, assegno di disoccupazione e per le donne contributo per la maternità. I collocatori comunali falsificavano le graduatorie di manovali e tabacchine e, soprattutto, si vendevano le destinazioni più remunerative degli emigranti in Belgio, Francia, Svizzera e Germania.
L’arrivo dei missionari, le apparizioni di madonne, di santi protettori e di fantasmi di buoni podestà erano elementi di supporto alle migrazioni dei consensi da uno all’altro dei candidati democristiani.
Oggi la situazione è cambiata?
Non c’è dubbio. E cominciamo dall’elettore più disgraziato: un disgraziato che ha perduto il lavoro e non ha potuto contare nemmeno sulla cassa integrazione; oppure un tossico che non ha dietro una famiglia benestante; o una donna con figlio separata da un marito privo di reddito.
Questo elettore è come la gatta di Andrea. Vi giuro in Italia ce ne stanno tanti, troppi. Con la crisi aumentano di ora in ora.
Dunque, Andrea possiede una gatta e istinti sadici. L’ho visto all’opera. Pomeriggio di piena estate. La gatta di Andrea che non ha mai avuto voglia non di fare la guerra ai topi, ma nemmeno di dichiararla, giace sotto la pergola avvolta in un alito d’aria e dorme ronfando. Andrea è tornato dal paese, abbandona la bicicletta sotto un albero d’ulivo e si va a sedere sul muretto accanto alla gatta soprannominata ‘mangia pane a tradimento’. Tira fuori da sotto la canottiera un’incartata e comincia ad aprirla, mentre sul volto infantile –ha solo sei anni. Nemmeno li compie il mese prossimo – comincia a fiorirgli un ghigno sghembo. Passa più volte la mano a pochi centimetri dal muso della gatta, come per sincerarsi che sta dormendo, poi prende dall’incartata una fetta di mortadella e la fa dondolare a qualche centimetro dal naso della gatta. L’animale non reagisce, cioè si limita a far vibrare appena i peli del baffo sinistro, poi muove la parte finale della coda e, infine, socchiude un occhio. Andrea si ficca la fetta di mortadella in bocca e inzuppando le parole con schizzi di cattiveria sibila alla gatta:
te la sei sognata, eh, eh, eh!
Sarebbe bastato questo come punizione per tutte le schivate della bestiola rispetto ai suoi doveri di combattente del branco di topone che infestavano il garage. Invece la tortura fu ripetuta per tutte le sette fette di mortadella dell’incartata.
Ed è proprio alla settima fetta che vidi la gatta schizzare fuori dalla coperta d’ignavia sonnolenta e azzannare il dito indice del piccolo grande sadico.
Avrei voluto sentirlo urlare… avrei voluto che davvero gli saltasse addosso. La gatta mangia pane a tradimento si era rimessa a dormire e Andrea, saltellando sulla sua ingenua ferocia se ne andava a catturare lucertole.
Ho ricordato questo episodio perché ho immaginato che la carta di cinquanta euro sventolata sotto il naso del cassintegrato o della madre separata e forse anche sotto il naso del tossico ha lo stesso odore della mortadella di Andrea.
Però, adesso, visto che quelli che sventolano le carte da cinquanta euro sotto il naso dei disgraziati sono adulti e magari ricchi e magari malavitosi o amici dei malavitosi, l’idea di una graffiata liberatoria potrebbe farsi. O, no?
La campagna elettorale in corso assume ogni giorno che passa, ve ne sarete accorti, toni deliranti. Eppure basterebbe leggere i dati forniti qualche giorno fa dalla Banca d’Italia sulla distribuzione della ricchezza delle famiglie italiane per avere un quadro chiaro di come quei dati dovrebbero riflettersi sul panorama delle forze politiche.
Apprendiamo, dunque, che il 46% della ricchezza è concentrato nelle mani del 10% delle famiglie. E’ quel 10% che ha da difendere e conservare i propri beni e, pertanto, quella è la percentuale di voti che dovrebbe andare ai partiti conservatori, alla destra. Se si va oltre quella percentuale, vuol dire che ci sono cretini che votano contro se stessi.
La metà meno abbiente delle famiglie si divide solamente il 9,4 della ricchezza totale (8.619 miliardi di euro). La proiezione di questo dato sul piano dell’offerta politica significa che ai partiti progressisti, alla sinistra, dovrebbe andare il 50% dei voti. Al rimanente 40 % delle famiglie italiane resterebbe, quindi, il 44, 7% della ricchezza. Appena sopra la soglia di povertà. Buon senso vorrebbe che anche questa zona della popolazione si orientasse a votare per i partiti progressisti, ma ammettiamo pure che si divida a metà, 20% per i progressisti e 20% per i conservatori, dovremmo concludere che la consultazione elettorale non avrebbe storia. Esito scontato 70% dei consensi ai progressisti, 30% ai conservatori. E…invece…
Invece un incredibile spiegamento di forze è mobilitato per moltiplicare i cretini e farli votare contro se stessi. Manifesti sei per tre, comparsate televisive, promesse di posti, cancellazione di tasse e balzelli vari, acquisto diretto di pacchetti di voti o delega alle numerose organizzazioni mafiose e così tutto quello che sembrava chiaro si annebbia e come sempre la consultazione elettorale finisce in caciara.
Al mio paese una volta si procedeva per proverbi. Uno recitava : “Lu saziu nu’ crite allu desciunu” (chi è sazio non crede a chi è a digiuno) e mio nonno proseguiva: “Se lu desciunu crite alle parole de ci è binchiatu o è minchia o è pacciu sunatu” (Se chi è a digiuno crede alle parole di chi si è saziato o è cretino o è pazzo suonato). Ma allora la vita era più semplice. E più crudele. I ricchi (pochi) stavano tra di loro per godere e i poveri (tanti) stavano tra di loro per soffrire. Si cambiava posizione solamente facendo rischiosissime capriole: Saltando in un seminario per intraprendere la carriera ecclesiastica; in una caserma per tentare la carriera militare; in una banda per scalare il potere malavitoso; in un partito di governo per succhiare il lardo del sottogoverno…Ora il sazio non si sazia mai e grida dai suoi giornali, dalle sue televisioni, dall’alba al tramonto che i suoi nemici lo vogliono ridurre alla fame. Che cosa è accaduto? Sono bastati pochi lustri per rimettere il mondo a testa in giù e piedi all’aria o, per dirla con Shakespeare, a farlo uscir di sesto? Allora le terre erano del padrone anche se erano i braccianti a lavorarle. Oggi le fabbriche non appartengono a chi ci lavora ma a chi non ha mai avvitato nemmeno un bullone.
Negli anni Cinquanta i braccianti dell’Arneo occuparono le terre perché si erano convinti che “la terra deve essere di chi la lavora”. Arrivarono i loro figli in divisa e spararono. E i figli degli agrari vestiti con la toga condannarono i sopravvissuti e i feriti. A condannare i morti fu chiamato un drappello di storici al di sopra delle parti.
A pensarci è davvero un mondo capovolto: un professore se lascia il suo posto al figlio scoppia lo scandalo; se un imprenditore lascia la sua azienda al figlio, anche se si tratta di un debosciato, fa il suo dovere sacrosanto.
Come diavolo si fa a raddrizzare questo benedetto mondo fuor di sesto?
Il regicidio è improponibile se non altro perché manca il re.
La rivoluzione pare fuori moda e poi quasi sempre ha figliato altre ingiustizie.
Se anche quelli dei ‘movimenti’ hanno deciso di presentarsi alle elezioni, ahimè, ci rimane il confronto elettorale che però sembra il terreno propizio all’uso dei trucchi più ignobili per far rimanere il potere e la ricchezza nelle mani dei soli furbi. Ma non c’è altro mezzo e perciò proveremo a stilare un diario critico di questa campagna (che però si fa quasi tutta in città) elettorale con l’obiettivo di smascherare almeno i trucchi più pacchiani e volgari messi in opera dai candidati.
Luigi A. Santoro
La sindrome di Pisistrato
Questo articolo venne pubblicato sul Quotidiano di Lecce durante il primo governo del cavaliere. Fa uno strano effetto rileggerlo.
Sempre più di frequente in questo scorcio di fine millennio ci rivolgiamo al pensiero greco per tentare di orientarci nella confusione che ci assedia da tutte le parti. Forse perché siamo convinti che risalendo alle origini della 'nostra cultura', il momento in cui è sgorgato il 'pensiero occidentale', la confusione si dissolva. Il pensiero, come l'acqua di un fiume, sarebbe sgorgato limpido, trasparente e si sarebbe intorbidato nel corso dei secoli. In realtà, ravvicinando le situazioni di oggi a quelle di duemila e cinquecento anni fa, non riusciremo a conquistare la chiarezza e la trasparenza assolute, soltanto (ma non è poca cosa!) cambieremo il punto d'illuminazione: le ombre non si allungheranno più verso occidente, ma verso oriente. Non verso un futuro crepuscolare, ma verso un passato aurorale. Questa operazione si fonda sull'analogia e si alimenta di metafore. Sul fondo, o sullo sfondo, la certezza che l'architettura profonda del nostro pensiero sia rimasta la stessa dai tempi di Omero ed Esiodo ai giorni nostri. È un gioco sottile e intrigante che aveva già affascinato Plutarco, l'autore de Le vite parallele.
E allora come possiamo resistere alla tentazione di ravvicinare la figura di Berlusconi a quella di Pisistrato e la televisione al teatro? Questa operazione di ravvicinamento farà emergere quella che, per diritto di precedenza, possiamo chiamare la "Sindrome di Pisistrato".
Nessun trattato di patologia del comportamento riporta, sia pure in nota, la sindrome di Pisistrato. E, invece, sono diversi anni che domina la scena politica italiana. Almeno da quando il Cavaliere Onorevole Silvio Berlusconi, è stato costretto (da chi?) a scendere direttamente nell'agone della politica. Vediamo di che cosa si tratta.
Racconta Plutarco: «Durante l'assenza di Solone, tutta la città si era divisa in partiti. A capo dei cittadini della pianura era Licurgo; Megacle, figlio di Alcmeone, guidava quelli del litorale e Pisistrato quelli della montagna. Vi era poi la turba dei mercenari particolarmente ostile ai ricchi. Ora, sebbene tutta la cittadinanza obbedisse alle leggi di Solone, un desiderio di cambiamenti e di grandi novità aveva pervaso tutti. In così grande sconvolgimento non vi erano fini di giustizia, semmai di fazioso vantaggio e assoluto predominio sugli avversari».
Solone torna ad Atene, ma è vecchio ed ha perduto la prontezza e l'energia di agire e parlare in pubblico, perciò s'incontra in privato con i capi delle fazioni e cerca di ricomporre i dissidi. Fra tutti Pisistrato sembrava il più disponibile. Ma Solone si accorge subito che Pisistrato finge di rispettare le leggi e di lavorare per il bene dei poveri mentre, in realtà, è preso da uno smodato desiderio di diventare tiranno.
A quel tempo Tespi aveva cominciato a diffondere la tragedia e con quella nuova forma di spettacolo, malgrado non ci fossero delle vere e proprie gare, riusciva ad attrarre l'attenzione dei cittadini. Solone non apprezzava quest'arte fondata sulla menzogna e, dopo uno spettacolo, - continua Plutarco - affrontò Tespi e gli chiese come mai non si vergognasse di mentire a quel modo di fronte a tanta gente.
La preoccupazione di Solone era che la finzione uscisse dal teatro e si diffondesse anche nella gestione dello stato. Era buon profeta.
Un giorno Pisistrato «arrivò su un cocchio nella piazza; sanguinava da una ferita che si era inferto da sé e diceva che era stato ridotto in quelle condizioni dai suoi nemici. Incitò pertanto il popolo a sollevarsi per difendere la libertà dello stato. Si avvicinarono in molti che gridavano indignati. Si avvicinò anche Solone che però gli disse: O figlio d'Ippocrate, tu imiti male l'omerico Ulisse; egli, infatti, si ferì gravemente per ingannare i nemici, tu invece lo imiti per educare i tuoi concittadini alla frode».
Con questa messa in scena Pisistrato riuscì a farsi assegnare un gruppo di cinquanta mazzieri e con questi occupò l'Acropoli e instaurò la tirannide. Solone con amarezza osservò: «Sarebbe stato molto più facile per voi reprimere la tirannia quando stava per nascere, ma ora che si è instaurata è molto più difficile e complicato abbatterla».
Passò del tempo e gli Ateniesi riuscirono ad esiliare Pisistrato. Ma non per sempre. Erodoto racconta: «Poco tempo dopo i partigiani di Megacle e quelli di Licurgo si misero d'accordo e lo cacciarono via; così, Pisistrato, che aveva ottenuto per la prima volta la tirannide di Atene, la perdette prima di poterla consolidare e quelli che l'avevano cacciato ricominciarono a lottare fra loro.».
Secondo Erodoto fu Megacle che, per non rischiare di perdere il confronto con Licurgo, offrì a Pisistrato la mano della figlia e l'appoggio per riconquistare la tirannide.
Per realizzare il piano venne organizzato un altro spettacolo: «Nel demo di Peania c'era una donna di nome Fia, alta quattro cubiti meno tre dita e nel complesso ben fatta. Essi la armarono di tutto punto, la fecero salire su un cocchio e, dopo averle insegnato a comportarsi nel modo che apparisse più dignitoso, la mandarono verso la città, preceduta da araldi, che giunti in città annunciarono quanto era stato loro ordinato: Ateniesi, accogliete di buon animo Pisistrato che Atena stessa, che lo stima più di ogni altro uomo, guida verso la sua acropoli. Essi andavano dappertutto a ripetere ciò e subito nei demi si sparse la voce che Atena guidava Pisistrato, e i cittadini, convinti che quella donna fosse la dea in persona, la venerarono come tale e accolsero Pisistrato.».
Non è da escludere che l'iniziativa di Pisistrato d'inserire gli agoni drammatici nelle feste in onore di Dioniso sia da mettere in relazione anche con le due messe in scena che gli aprirono la strada per la conquista del potere. Sta di fatto che con Pisistrato l'attività di rappresentazione conquista il centro della vita della polis e si ritaglia un territorio entro il quale la finzione acquista anche il potere di destabilizzare e riassestare i confini della realtà. Erodoto si meraviglia che gli Ateniesi, considerati i più accorti e saggi fra gli Elleni, siano potuti cadere in simili trappole. E' accaduto agli Ateniesi.
Siamo ora in grado di descrivere i tratti che caratterizzano il soggetto in preda alla sindrome di Pisistrato.
Egli si presenterà sulla scena della polis come vittima innocente di avversari crudeli e privi di scrupoli esibendo ferite che s’è procurato da solo. I suoi avversari politici verranno indicati al popolo come nemici dello stato e direttamente al popolo, non alle istituzioni dello stato, chiederà giustizia per i presunti torti subiti. Qualora venisse smascherata la sua messa in scena e privato del potere, inventerà una messa in scena ancora più spettacolare chiamando in suo aiuto il potere della divinità. A quel punto le istituzioni democratiche, schiacciate fra il potere divino e quello del popolo, si riveleranno inutili o addirittura dannose. Verranno così, o eliminate, oppure occupate dai sostenitori dell'unto del Signore. Le assemblee non si terranno più sulla Pnice, ma nel teatro. Che è come dire: non alla Camera e al Senato, ma nella piazza televisiva. E le consultazioni elettorali saranno sostituite dai sondaggi d'opinione.
Naturalmente anche i Soloni dovranno togliere al più presto il disturbo. E i giudici potranno riporre i codici in soffitta e si dovranno accontentare dei solenni giuramenti sulle teste di padri, madri, zie, figli, parenti e amici dell'unto dal Signore e dei suoi sostenitori. I più restii saranno costretti ad abbandonare le toghe nere e ad indossare le toghe rosse. Saranno portati al centro della piazza mediatica con al collo un cartello: "Carnefici !!!" e lì sommersi da sputi elettronici e lapidati dai sondaggi. A quel punto il gioco sarà bello e fatto: il consenso del popolo, acquisito attraverso il fascino della dea Televisione, agghindata dal cavaliere come la dea Atena di Pisistrato, verrà contrapposto al potere delle leggi e così, mentre il 'poppolo' sarà occupato a seguire l'ennesima puntata di una 'telenovela', la democrazia sarà sostituita dalla tirannide.
La sindrome di Pisistrato ai tempi dell'antica Grecia prevedeva anche l'eliminazione o l'esilio degli avversari, il sequestro dei beni e dei figli, nonché il disseppellimento dei morti. Speriamo che almeno questo, alle soglie del duemila ci venga risparmiato.
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