CRONACHE DAL FRONTE SANITARIO VI
Di Luigi A. Santoro
Credo mi aspetti un pomeriggio difficile e una notte da incubo. Non riesco a mettere nulla nello stomaco. Lascio il vassoio con il cibo per diabetici sul comodino e me ne vado in giro per i corridoi. Ho bisogno di trovare qualche motivo di distrazione. Lungo la prosecuzione del corridoio del reparto trovo la cappella. Vuota. Un vuoto che paradossalmente non invita alla concentrazione. Forse dipende dalla eccessiva presenza della plastica, del finto. Non riesco ad evitare l’emergere d’immagini di films dedicati all’ultimo giorno, alle ultime ore dei condannati a morte. Mi ripeto ossessivamente: “io sono condannato a vita, ho scelto io di essere condannato a vita, l’intervento chirurgico è vita non morte.”. Mi viene la tentazione di tornare in camera e cercare su You tube…mi hanno detto che ci sono le riprese dell’intervento che devo avere, torace aperto, circolazione extracorporea…mio figlio ha detto che ne ha visto solo un pezzo e s’è sentito male. No, no qui ci vorrebbe un buon libro. Ecco, sì, un buon libro. Oddio! Ci sarà una biblioteca nell’ospedale? No. Non c’è traccia di libri. 451gradi Fahrenheit, la temperatura a cui brucia la carta. Si sarà ispirato a questo luogo Ray Bradbury? Impossibile, nel 1951 il Vito Fazzi era ospitato in un altro edificio. E’ solamente che tutti, da chi l’ha progettato a chi l’ha realizzato, a chi lo ha arredato, a chi lo ha gestito hanno pensato che in un ospedale i libri sono inutili. O, forse non ci hanno pensato per niente. Mi attacco a questa idea. Cambierebbe l’ospedale Vito Fazzi di Lecce se si realizzasse una biblioteca? Durante le sere precedenti avevo fatto un giro in tre reparti: un televisore in quasi tutte le stanze. E i giornali? L’edicolante interno mi fornisce numeri a due cifre. Da far cadere le braccia. Ma, no: acquistano i giornali dai loro edicolanti di fiducia ed entrano in ospedale nascondendoli sotto la giacca o mimetizzandoli entro grandi buste di plastica come incarto di frutta. Rientro in reparto di corsa chiedendo a tutti quelli che incontro: “La biblioteca è di qua, vero?”, collezionando una galleria di espressioni incredibili. In realtà mi aspetta la depilazione totale e il clistere.
“Procediamo alla tricotomia” – dice Davide, non so se per nascondere dietro un termine tecnico il mio o il suo imbarazzo.
“E se al posto mio ci fosse stata una donna?”
“Finché abbiamo il personale adeguato cerchiamo di rispettare i generi maschile, femminile…”
Lo guardo. Sta sudando più d’un cavallo da corsa. Butta via un rasoio Bic dopo due tre passate perché la peluria rimane attaccata alla mia pelle ancora più coperta di sudore. Nella stanza c’è un caldo bestiale. “Sono anni che i capi hanno chiesto i condizionatori…”
Non lo ascolto più. Penso ai settori della biblioteca del Fazzi: uno sulla storia della sanità a Lecce e insieme le opere dei salentini che si sono occupati di malattia e di salute, di epidemie e di tarantismo…; uno con testi della legislazione; uno con testi per bambini, uno con testi vari che pazienti e visitatori lasciano dopo la soluzione dei loro problemi; uno coi materiali…Davide ha finito e mi dice che fra tre mesi lo licenziano insieme a diverse centinaia di figure professionali preparate con pubblico denaro. In qualche modo questa fregatura ha a che fare col mio clistere e perciò non vi dirò altro.
Con la prossima puntata vi racconterò della operazione chirurgica.