CRONACHE DAL FRONTE SANITARIO V

Di Luigi A. Santoro

E allora ritorniamo alla vigilia dell’intervento.
Siamo nella mattinata del 6 Luglio.
Sveglia all’alba come sempre accade in ospedale. I rumori sono oramai diventati familiari: le donne delle pulizie, le infermiere col passo strisciante, i rumori del bar in fondo al corridoio. Mi piacerebbe che tutti gli amici si mobilitassero per accompagnarmi a questa specie di morte (momentanea spero) che prevede l’apertura del torace, la divaricazione delle costole, la sistemazione delle coronarie con pezzi di ricambio recuperati dall’arteria mammaria e dalla safena, un grosso vaso degli arti inferiori.
Cerco disperatamente di allontanare da me l’immagine della sega elettrica che penetra nello sterno emanando quel tipico odore di sostanza organica bruciacchiata. Non ci riesco.
Decido allora di concentrarmi sui particolari della mia stanza: due letti ma uno è vuoto. Osservo la forma dei letti, degli infissi, dell’illuminazione, dell’arredamento – due comodini, due stipetti e due sedie rigorosamente in metallo laccato e formica.
Che cosa ha portato ingegneri e tecnici a concentrare tanta bruttezza in un posto dove non vivono solo i malati che per principio devono essere “pazienti”, ma anche medici, impiegati, personale para sanitario e i visitatori?
Chi ha progettato questa struttura doveva davvero avere un odio feroce nei confronti dell’umanità sofferente.
Credetemi non è una costruzione solamente brutta: è letteralmente oscena. Collocata in uno spazio vuoto alla mercé della tramontana invernale e della insopportabile afa estiva non riesce in nessun modo a riscattare la bruttezza con un minimo di razionalità dei servizi che vi sono ospitati.
Per un certo numero di anni l’oncologico ha guardato schifato il suo dirimpettaio, ora anche l’oncologico ha cominciato a leccarsi le ferite del tempo e dell’incuria. Sullo sfondo la fa da padrone invece il seminario arcivescovile da cui immagino provengano le schiere di preti e laiche che invadono ad una certa ora i corridoi e le stanze, invitando pazienti e visitatori a chiedere perdono a Dio dei loro orribili peccati. Mea culpa, mea culpa non voglio esibirmi nascondendomi in frenetiche grattate dependenti all’arrivo di queste persone che in fondo fanno Opera che a loro appare di grande sostegno psicologico.
Accolgo con entusiasmo il passaggio del dottore Colonna, del dottore Picane e della dottoressa Mazzella, sono bravissimi a spostare la mia attenzione dai particolari dell’operazione ai dettagli di quello che andrò a vedere da qui a domani.
Ma non è questa la tecnica di Stanislavsky?