CRONACHE DAL FRONTE SANITARIO II
di L.A. Santoro
In reparto c’è un’atmosfera tranquilla. In pochi minuti mi ritrovo immerso in una di quelle sequenze di azioni obbligate che impediscono di avere pensieri divergenti come la domanda che mi ero posto mentre varcavo la porta dell’ospedale: “Che tipo di rapporto c’è fra i pensieri che occupano la testa delle persone che stanno entrando e uscendo da qui e le storie che hanno portato il presidente Vendola ad azzerare l’intera sua giunta? E attraverso quali meccanismi l’imprenditore Tarantino è passato dagli appalti di protesi all’offerta di ragazze disponibili per le feste del presidente del consiglio?” Pensiero fuori scena: Dalle protesi sanitarie alle protesi sessuali?
Le sequenze obbligate non permettono deviazioni: spogliarsi, indossare un camice trasparente, salire sulla barella – ma ci posso andare con le mie gambe! No. Questa è la procedura. -, attesa davanti alla sala della coronografia, la siringa (di valium?)che un infermiere preso da altri pensieri t’infila distrattamente, la sistemazione della macchina e dei monitor, la vestizione del dottore C. che sorride e mi comunica: “vediamo se possiamo passare dal braccio così evitiamo il fastidio dell’immobilità per 5- 6 ore che richiede la via femorale”. Volevo dirgli che da qualche mese ho un fastidioso dolore (di natura reumatica?) all’omero sinistro, ma mi fermo perché l’infermiere, toccando il polso ha sentenziato che c’è la via giusta. Un dolore lancinante blocca la risalita della sondina. Bisogna ripiegare sulla femorale. Da qui procede tutto tranquillo tanto che mi posso concedere di ripensare al dilemma di Vendola: rimarrà incastrato nella logica dei partiti o sceglierà la via di una seria ristrutturazione del governo regionale? Le parole del dottore C. mi fanno ritornare sul lettino della coronografia: “Ci sono due stenosi serie su due coronarie, la situazione va discussa coi chirurghi”. Subisco due ondate di calore alternate con due di ghiaccio polare e poi balbetto: “Non si può risolvere con l’angioplastica?” Mi sono aggrappato ad una parola che quando l’aveva pronunciata la cardiologa mi aveva fatto orrore. “Si può fare – esordisce rassicurante – ma non risolve il problema di un cuore in buone condizioni alimentato da coronarie in condizioni che effettivamente non mi aspettavo in una persona che non ha avuto sintomi…sentiamo i cardiochirurghi.”.
Eccomi allora in questo lettino ad attendere il mio turno per il restauro del sistema idraulico del cuore. Ed è arrivato il momento di girare gli occhi verso i compagni d’avventura e l’organizzazione del reparto e i medici e gl’infermieri e gli allievi e i parenti dei pazienti. Si, perché fra queste mura vive una strana società; una società che mi sembra più simile ad un formicaio che ad un aggregato umano. I turni, le divise, gli orari delle diverse attività, la struttura piramidale del potere…tutto fa pensare alle formiche o alle api.
Il direttore del reparto “CARDIOLOGIA INTERVENTISTICA ED EMODINAMICA sembra, prima di tutto una persona per bene e innamorata del suo lavoro. Lo osservo mentre parla con i famigliari dei pazienti. Non riesco a sentire le parole, ma il tono pacato e la gestualità morbida, malgrado la corporatura massiccia, mi fa pensare ad una persona di grande umanità e disponibile a far attraversare agli interlocutori la sua ‘scorza’ professionale. Mentre parla con i famigliari della situazione di un paziente di Torre Santa Susanna, un paesino della provincia di Brindisi, quasi li accarezza.